giovedì 4 dicembre 2008

Qui comincia l'avventura...


Singapore Skyline di Besar BearsSINGAPORE – Ero al corrente che l'aeroporto di Changi fosse particolarmenete efficiente, e non è un caso se da anni sia puntualmente votato come il migliore al mondo. Volo da Dubai perfino in antricipo, atterrato in perfetto orario solo perché l'aereo ha volteggiato per una mezz'ora sopra l'isola. Sì: perché Singapore è una città-Stato ma la parte edificata è circa la metà della sua superficie; un'isola, appunto, che misura 42 km di lunghezza, 23 di larghezza, il tutto per 700 km quadrati, contornata da oltre una sessantina di “succursali” tra cui la più grande è Sentosa, dedicata allo svago e alla balneazione, e nemmeno la più grande tra quelle che  punteggiano la parte più meridionale del Canale di Malacca, che separa le penisola malese da Sumatra (Indonesia) nella sua parte più stretta, un grado sopra l'Equatore. Una mezz'ora di coda per espletare le formalità doganali, nemmeno troppo considerata l'eterogeneità degli sbarcati e l'accuratezza dei controlli. Decisamente più veloci della media le procedure cui sono suttoposti i cittadini UE, che ottengono anche, seduta stante, un visto valido 90 giorni. L'operazione di consegna dei bagali era stata nel frattempo così veloce, che gli stessi erano già stati tolti dal nastro e accuratamente disposti, tutti in ordine come soldatini e con il manico rivolto verso l'alto, in posizione di asporto, ovviamente sotto la supervisione di una sorvegliante, da un lato del nastro. Applausi, da parte di uno abituato alle inefficienze alitaliote e ai furti costanti nei magazzini delle società di gestione, e visioni fantascientifiche quando si passa ai servizi aeroportuali e complementari. C'è semplicemente tutto quello che occorre, dalle indicazioni comprensibili anche a un idiota ai bancomat. Quattro le opzioni per arrivare in città, pur sempre un viaggio di una ventina di minuti, ma per tutte le tasche: con la metropolitana, per un dollaro di Singapore (all'incirca  40 euro cent) oppure, allo stesso prezzo, in autobus di linea; 9 $ per lo Shuttle (minipullman da 9 posti, comodi, con aria condizionata, video di presentazione delle attrazioni cittadine, non invadente e a volume dicreto), cinture di sicurezza obbligatorie; infine tra i 15 e i 20 dollari locali, a seconda del traffico, il taxi. Viene da urlare pensando ai 18  € che vengono grassati dalle Ferrovie Nord con il famigerato Malpensa Express o dagli shuttle tra Milano e Orio al Serio o Roma e Fiumicino, per non parlare delle frequenze e dei prezzi improponibili dei taxi nostrani. L'alloggio è nel cuore di Little India, bar e internet point aperti anche  dopo la mezzanotte, alcuni 24 ore su 24, nessuna faccia “malintenzionata” in giro, ma nemmeno l'onnipresente controllo poliziesco che mi ero immaginato. Sì, perché Singapore mi era stata dipinta come una sorta di landa popolata da maniaci malati di igienismo, dove si multa pesantemente quando non si arresta la gente che butta cartacce o cicche per terra, una realtà claustriofobica, strerilizzata e soggetta alla sorveglianza di un onnipresente Grande Fratello un po' paranoico (anche se un pannello vicino alla City Hall ammonisce che A low crime rate doesn't mean no crime). Niente di tutto questo, come ho avuto modo di appurare girando per il quartiere dove soggiorno, Little India e l'adiacente quartiere arabo, e Chinatown. Sì: sembra un paradosso che esista una Chinatown in una città dominata e costruita dai cinesi, che sono il 75% della popolazione, ma si tratta di quel che è rimasto della città coloniale all'ombra dei grattacieli, peraltro bellissimi,  che dominano la Downtown che dà verso il fiume (chiamato così ma si tratta di un braccio di mare canalizzato). Esistono queste porzioni etniche della città, a cui si aggiunge quella malese di Geylang, a Singapore Est, che conservano tutto il calore e colore degli originali ma in un contesto pulito, privo di tensioni, in una parola civile, senza essere semplici specchi per le allodole o barbatrucchi per turisti, salvo, in parte, Chinatown. Dove però è sufficiente mettere piede nell'omonimo centro commerciale (che nulla ha a che vedere con un mall in stile yankee: quelli si trovano in Orchard Road, mi dicono; semmai con un mercato comunale al coperto di quelli a cui siamo abituati in Europa), per essere certi di essere in mezzo alla gente del posto più autentica. Al primo piano, uno dei più famosi hawker markets, i baracchini alimentari che un tempo si trovavano per strada e che sono stati messi al coperto in condizioni igieniche più che decenti: a decine, delle diverse regioni cinesi e non solo (e' coperto tutto il Sud-Est asiatico), con tavolini e sedili ancorati al pavimento, in genere self service ma talvolta anche con servizio essenziale al tavolo – a parte lavora una squadra di addetti alla pulizia: ho già notato che generalmente si tratta di indiani del Sud o srilankesi. Ci si siede naturalmente con degli estranei, senza formalità, ed è una meraviglia: le persone sono gentili ma mai invadenti. Il cibo ottimo e di una varietà impressionante e a prezzo irrisorio: per 5 $ (poco più di due euro) ho pranzato con degli ottimi tagliolini in brodo con granchio (vero e carnoso), gamberi e verdure, piccante il giusto e corroborante. Per far fronte ai fortunali pomeridiani di stagione: perché è quella dei monsoni, e all'Equatore non si scherza. Però gli scoli dell'acqua, a Singapore, funzionano meglio che a Milano. 

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