mercoledì 31 gennaio 2024

Il cielo brucia

"Il cielo brucia" (Roter Himmel) di Christian Petzold. Con Thomas Schubert, Paula Beer, Langstom Uibel, Enno Trebs, Matthias Brandt e altri. Germania 2023 ★★★★1/2

Sempre emotivamente coinvolgente, il cinema di Christian Petzold, che riporta a superficie sensazioni profonde toccando corde che hanno a che fare con il lato più autentico di noi, per quanto lo so voglia tenere nascosto: non si fa fatica a identificarsi con almeno uno dei personaggi dei suoi film e nelle situazioni in cui vengono a trovarsi nella vita quotidiana dove, per un motivo o per l'altro, compiono scelte decisive in base a eventi imprevedibili o a un qualcosa che incombe dall'esterno. In questo caso abbiamo due amici berlinesi, Leon (il viennese Thomas Schubert, bravissimo) e Felix (Uibel), che vanno a trascorrere alcuni giorni nella casa di vacanze della famiglia di quest'ultimo: Leon per finire di lavorare al suo secondo romanzo, Felix al portfolio da allestire per essere ammesso all'Accademia di belle arti; un edificio circondato mezzo da un bosco sulla costa del Mar Baltico, quasi al confine con la Polonia, e il programma è una sorta di villeggiatura operosa per entrambi. La prima sorpresa è che la loro auto va in panne e si blocca obbligandoli a raggiungerla a piedi, lungo un percorso disagevole, di cui solo Felix conosce le scorciatoie, e quando arrivano, trovano tracce evidenti della presenza di qualcun altro nell'alloggio, benché non ci sia nessuno: si tratta Nadja, un'amica della madre di Felix, che si è dimenticata di avvertirlo. Una presenza che restringe gli spazi vitali, già angusti, di cui si accorgeranno di notte per i movimenti e i gemiti provenienti dalla stanza accanto alla loro, quando la ragazza e il suo occasionale amico (Devid, un tipico Ossi, ovvero ex DDR, come si evince anche dal nome, opportunamente teutonizzato) si danno da fare. Il disagio in Leon cresce, assieme alla curiosità nei confronti dalla fantasmatica fanciulla, per cui prova un misto di avversione, gelosia e attrazione prima ancora di incontrarla di persona, mentre Felix si adegua, la prende alla leggera, fa conoscenza anche con Devid e ne finisce attratto, pensa più a rilassarsi, andare in spiaggia, occuparsi della cena, condividerla coi nuovi amici, mentre Leon si isola via via sempre si più, diventa scontroso, sgradevole. La motivazione apparente è l'impegno lavorativo, in realtà non fa nulla, cincischia, va in spiaggia, vi si addormenta vestito e non fa nemmeno un bagno, il tutto perché è in crisi e si avvita su sé stesso, refrattario a chi e a cosa lo circonda perché in fondo sa di avere scritto una merda e che Club Sandwich, il suo secondo lavoro, non funziona. A certificarlo sarà proprio Nadja, che man mano si "materializza" e la conosciamo meglio (la interpreta la splendida Paula Beer, già protagonista di Undine), a cui fa leggere il manoscritto, e il suo giudizio lo manda in crisi definitivamente, proprio alla vigilia della visita di Helmut, il suo editore, per una revisione del romanzo. E glielo conferma quest'ultimo, che trova molto più interessante il lavoro fotografico di Felix, fatto nei ritagli di tempo, seguendo un'idea, e parlare con Nadja della sua tesi di dottorato: Leon, finora, l'aveva ritenuta una semplice gelataia avventizia, stagionale in un albergo, mentre invece studia letteratura, e memorabile sarà la recitazione della Beer, ripetuta due volte, di Der Asra, una delle Historien di Heinrich Heine. Nel frattempo gli incendi boschivi nei dintorni si fanno incombenti, l'aria si arroventa, il cielo si arrosa e i passaggi del Canadair diventano sempre più frequenti, ma Leon pare non accorgersene, finché non lo toccherà una doppia tragedia che, forse, lo riporterà alla realtà e in contatto col prossimo, e troverà l'ispirazione per scrivere qualcosa di autentico e non in preda a solipsismo parossistico. Il tutto sulle note dell'ipnotica In My Mind dei Wallners, gruppo Indie/Pop viennese come l'attore protagonista. Nonostante l'atemporalità, un vago senso di straniamento e sfasamento che però invece di annoiare tiene viva l'attenzione, il film ha qualcosa di ipnotico che agisce sottotraccia, e funziona. Encomiabili gli interpreti, Beer e Schubert su tutti, d'altronde li aveva scelti Simone Bär, scomparsa un anno fa, che del casting dei film di Petzold si era occupata fin dal 2000 (e, tra gli altri, anche di quello Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino). Con Il cielo brucia Petzold ha conquistato l'Orso d'Argento, gran premio della giuria, all'ultima Berlinale; inizialmente pareva che fosse la seconda parte di una trilogia dedicata agli elementi: dopo l'acqua di Ondine, il fuoco. Congetture onanistiche del criticume prezzolato, che il regista ha ridicolizzato in un'intervista rilasciata quando questo suo ultimo lavoro era stato presentato al recente Torino Film Festival osservando che sulle spiagge baltiche del suo film, che evocano alcune altre di Rohmer o di Truffaut, oltre al fuoco troviamo già gli altri tre elementi, acqua-aria-terra (perché in tutto sono quattro e non tre), e così il cerchio risulta chiuso e potrà dedicarsi ad altro. Sicuramente la cosa giusta, conoscendolo. 

Nessun commento:

Posta un commento