domenica 14 gennaio 2024

Perfect Days

"Perfect Days" di Wim Wenders. Con Kôji Yakusho, Tokio Emoto, Arisa Nakano, Aoi Yamada, Arisa Nakano, Yumi Asô, Sayuri Ishikawa, Tomokazu Miura, Min Tanaka e altri. Giappone, Germania 2023 ★★★★★

Nato come un documentario appositamente commissionato a Wenders nell'ambito di The Tokio Toilets, progetto di riqualificazione urbana del municipio di Shibuya, uno dei 23 che formano l'area metropolitana della capitale nipponica, anche in virtù delle precedenti frequentazioni cinematografiche in Giappone del regista tedesco, durante la fase di lavorazione si è fortunatamente trasformato in un'opera autonoma e il risultato è stato, nelle sue mani, un Perfect Movie, parafrasando il titolo, che a sua volta rimanda a uno dei pezzi più famosi scritti e interpretati da Lou Reed. Un film memorabile, definitivo, che riesce a inchiodarti davanti allo schermo per due ore raccontando il susseguirsi sempre secondo lo stesso schema delle giornate di Hirayama, un uomo di mezza età che pulisce i cessi (d'autore, però) di Shibuya, e lo fa con la dedizione, la solerzia, la metodicità e, soprattutto l'amore che dedica a tutte le cose che fa nella sua apparentemente monotona esistenza: la cura delle piantine che "salva" dalla disattenzione dei giardinieri aspergendole quotidianamente, all'alba, di vapore acqueo; al tatami che ripone sempre nel medesimo modo e nello stesso angolo; la rasatura; il tragitto sempre uguale tra un gabinetto e l'altro; il panino per pranzo nel parco; la cena sempre nello stesso ristorantino che propone cibo da strada; lavacri personali dopo il lavoro al bagno pubblico, ché la sua modesta abitazione non me possiede uno; una volta a settimana la distrazione in un locale, gestito da Mama, dove gli avventori sono sulla sua stessa onda: analogici in un mondo ormai digitalizzato (e disumanizzato). Infatti durante i suoi spostamenti ascolta musica anni Settanta rigorosamente su musicassetta (la colonna sonora, in stile Wenders, spazia dagli Animals di The House of the Rising Sun, proposta anche in versione giapponese a Otis Redding, da Patti Smith ai Velvet Underground, dai Kinks a Van Morrison, da Nina Simone al già citato Lou Reed), scatta fotografie alle fronde degli alberi con una Olympus utilizzando rigorosamente pellicole in bianco e nero per afferrare il komorebi, espressione che in giapponese significa "il riflesso del sole tra le foglie degli alberi", e già questo è rivelatore di tutta una filosofia e di un'estetica, foto che poi seleziona e archivia scrupolosamente in cartelline ordinatissime. La sera, prima di dormire, legge libri (che vengono conservati come gioielli in una libreria essenziale): quelli che gli vediamo tra le mani sono di Faulkner, Patricia Highsmith ma anche uno di racconti brevi della sottovalutata autrice locale Aya Kōda. In tutto il film Hirayama pronuncerà al massimo in centinaio di parole, sempre con gentilezza e quando viene richiesto o ha qualcosa da dire; preferisce esprimersi con le azioni, anche quelle sempre precise, attente e adeguate alla situazione. Succede che interloquisca col suo giovane collega Takashi, con la ragazza di quest'ultimo Aya, con "Mama", soprattutto con Niko, la nipote adolescente, figlia della sorella, che non vedeva da quando era piccola e che si rifugia da lui durante una fuga da casa: con lei sarà più loquace, e molto misurato però puntuale quando la "riaffiderà" alla madre, così come quando parlerà con l'ex marito di Mama, che pensava fosse il suo nuovo compagno, in un'altra scena memorabile e di rara umanità. Nulla viene detto del passato di Hirayama: l'unica cosa certa è che la sua scelta di vita solitaria ed essenziale è stata voluta, convinta, anche se non sappiamo, perché in fondo non importa, quale ne sia stata la causa, e comunque ha a che fare con l'armonia, che è cosa diversa dalla felicità, e con l'accontentarsi di quello che si ha, ché a farlo accuratamente e con coscienza c'è sempre da riempire la giornata e concluderla serenamente e senza rimpianti, e nulla ha a che vedere con la rassegnazione e l'accettazione supina dello stato delle cose, anzi: piuttosto con la resistenza a un'esistenza "digitale", a tratti se non del tutto virtuale, dalla visione binaria e però a senso unico. Insomma un film che procura un senso di pace e serenità, profondamente umanista e da cui traspare il fondo buddhista dell'animo nipponico. Alla fotografia, eccellente, ci pensa Franz Lustig, che con Wenders aveva già lavorato in precedenza, e il formato scelto è 4:3, ideale per "inquadrare", seguendolo passo passo nel corso delle sue giornate, il protagonista, a cui dà corpo e anima e, soprattutto, uno sguardo che parla da solo il fenomenale Kôji Yakusho, giustamente premiato come miglior attore protagonista all'ultimo Festival di Cannes. Per la Palma d'Oro a Perfect Days gli è stato preferito Anatomia di una caduta, che è senz'altro un buon film, però qui si è a livelli di eccellenza: forse il motivo è che si entra nell'ambito della poesia pura, e non più in quello cinematgrafico e dello spettacolo tout court.

1 commento:

  1. Questo è un bellissimo film, con una colonna sonora strepitosa che è essa stessa dialogo e storia. E il komorebi era una mia passione quando mi dilettavo di fotografia in gioventù.
    Una precisazione: è il futon che si arrotola e si ripone; il tatami è il pavimento della casa giapponese tradizionale.

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