martedì 23 gennaio 2024

Palazzina LAF

"Palazzina LAF" di Michele Riondino. Con Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Gianni D'Addario, Domenico Fortunato, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani, Paolo Pierobon, Anna Ferruzzo e altri. Italia 2023 ★★★★1/2

Un fulminante e salutare cazzottone nello stomaco, ecco cos'è in sintesi Palazzina LAF, uscito inopinatamente (o meglio: proprio per questo) troppo presto dal circuito delle sale principali e recuperato per caso qualche giorno fa a San Daniele del Friuli. Considerata la riottosità con cui il cinema italiano affronta il tema del lavoro nella sua cruda realtà, a dispetto di quello d'impegno civile, da Rosi a Petri a Montaldo, che risale ormai a mezzo secolo fa (una rara eccezione, a mia memoria, era stato 7 minuti di Michele Placido uscito nel 2016), è già un miracolo che a Michele Riondino abbiano concesso di girare questo suo meritorio film d'esordio alla regìa, tratto dal libro Fumo sulla città di Alessandro Leogrande, che avrebbe dovuto esserne anche lo sceneggiatore se non fosse prematuramente scomparso, a soli 40 anni, nel frattempo. Era tarantino anche lui e, come Riondino, l'ILVA la conosceva bene per esperienza diretta, e così il regista non ha avuto problemi a indossare anche i panni, o meglio la tuta, di Caterino Lamanna, operaio "senza coscienza di classe" addetto ai pesanti lavori di manutenzione, un qualunquista che ce l'ha coi sindacati parolai e con chi, a suo dire, non ha voglia di lavorare. In realtà desidera condividere i "privilegi" di alcuni suoi colleghi superiori di rango, tanto che dopo essere stato ingaggiato come informatore sui "movimenti" e gli umori nella base da parte di Giancarlo Basile (il sempre efficacissimo Elio Germano), un viscido dirigente che si occupa delle "risorse umane" per il Gruppo Riva che da poco ha preso il controllo della colosso siderurgico (siamo nel 1997), e avere perfino ottenuto come prestigioso benefit una scassatissima auto aziendale, gli chiede di essere spostato, anzi "promosso", alla Palazzina LAF, a suo modo di vedere una sorte di paradiso per nullafacenti, in realtà un vero e proprio reparto punitivo dove venivano confinati i reprobi, soprattutto impiegati e tecnici qualificati, che non avevano accettato il demansionamento che aveva prospettato loro la nuova dirigenza, una "novazione contrattuale" che faceva pagare, come sempre, ai lavoratori i costi delle fantomatiche e mai avvenute "ristrutturazioni", sia in termini salariali sia di condizioni d'impiego, nonché alle casse dello Stato, attraverso sovvenzioni di vario genere oltre alla cassa integrazione (elargita, come se fosse una regalìa, in definitiva, con le tasse dei contribuenti, quindi ancora prevalentemente i lavoratori e pensionati dipendenti). Retribuiti per non fare niente, relegati in un reparto fantasma, in attesa del nulla; una sorta di manicomio, altro che "paradiso" per privilegiati, come riteneva Caterino Lamanna, che comunque teneva d'occhio l'attività del sindacalista che lo frequentava e ne riferiva al Basile. Pratiche simili per indurre i "rompiscatole" al silenzio e possibilmente a licenziarsi, erano utilizzate in altri grandi gruppi industriali, spesso foraggiati dallo Stato, specie quando versavano in cattive acque a causa di gestioni e scelte produttive demenziali, secondo il vecchio adagio caro al capitalismo: "provatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite"; nel caso dell'ILVA si giunse, nel 2006, alla condanna del suo presidente: il primo caso di mobbing, termine in uso da allora, che si sia concluso a sentenza. Nel film di Riondino ce n'è per tutti, perché il vergognoso Caso ILVA, che si trascina da decenni e ancora è in corso, è esemplare perché evidenzia la commistione di interessi, connivenze, silenzi, ignavia di tutte le parti in causa, compresa la "sinistra" che, in cambio di posti di lavoro (insalubre e a condizioni via vie peggiori), ha sacrificato non solo la sicurezza ma anche la salute degli operai e delle loro famiglie, specie quelle che sono andate ad abitare a Tamburi, a ridosso della fabbrica (come Caterino, che ha abbandonato la cadente masseria in cui viveva, dove gli animali morivano per gli effluvi provenienti dalla cokeria e dagli altiforni, in un'illusione di modernità e benessere, non rendendosi conto che le probabilità di avvelenarsi sarebbero aumentate ulteriormente). Palazzina LAF, pur aderendo alla realtà, non è una pellicola documentaristica: sviluppa una storia con dei personaggi esemplari che interagiscono rendendo plastiche situazioni che si creano negli ambienti di lavoro e, in particolare, in strutture complesse e di grandi dimensioni come la ILVA di Taranto, e tutti gli interpreti sono funzionali alla causa e scelti con cura esemplare: oltre ai due protagonisti principali, Fulvio Pepe nella parte del sindacalista Renato Morra, Vanessa Scalera, Gianni D'Addario, Domenico Fortunato, Michele Sinisi e Marina Limosani in quelle di alcuni "confinati"; Anna Ferruzzo in quella della sostituta PM; le musiche originali sono di Theo Terado (una garanzia) e la canzone finale di Diodato, originario della Città dei due mari pure lui. Da vedere e pubblicizzare. 

1 commento:

  1. Questi sono i film da "pompare", altro che quello della Cortellesi...

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