lunedì 1 gennaio 2024

The Old Oak

"The Old Oak" di Ken Loach. Con Dave Turner, Ebla Mari, Claire Rodgerson, Trevor Fox, Chris McGlade, Col Tait, Jordan Louis, Andy Dawson, Debbie Honeywood, Chris Gotts e altri. GB, Francia 2023 ★★★★★

Il cinema della memoria di Ken Loach è una delle poche cose rimaste davvero di sinistra in Europa in un quadro intellettuale e politico di desolante povertà, asservimento, sindrome di Stoccolma nei confronti del mercato unico e globale che fa il paio col pensiero binario che genera l'assuefazione generale alla logica TINA: There Is No Alternative. A 87 anni The Old Oak, la "vecchia quercia" resiste indomita, così come resiste, in un degradato borgo già operaio nella Contea di Durham, Inghilterra Nord Orientale, appena sotto Newcastle, già fiorente zona di miniere, l'omonimo pub gestito con ostinazione e passione da TJ Ballantyne (Dave Turner, memorabile), l'unico luogo di ritrovo per quel che resta di una un tempo fiorente e combattiva comunità di minatori, ora pensionati o precarizzati, comunque sempre più immiseriti: ci manca solo il crollo del valore delle loro tipiche case operaie, comprate da speculatori che hanno solo in mente di tirarle giù per poi decuplicarne il valore costruendo zone residenziali. Chi può se ne va, chi resta se la prende, invariabilmente, con chi è messo peggio di lui ossia, come nella storia raccontata da Loach, un gruppo di siriani rifugiatisi in Gran Bretagna in seguito ai noti eventi bellici degli ultimi anni, e che vengono alloggiati nei miseri appartamenti rimasti sfitti. Tra essi Yara (interpretata dalla brava Ebla Mari, l'unica attrice professionista dell'intero cast), la quale fa da tramite e interprete, parlando un inglese pressoché perfetto perché aveva lavorato per anni con il personale britannico in un campo profughi, appassionata fotografia, a cui come prima cosa un giovane nullafacente e razzista (peraltro nemmeno inglese), danneggia quello che per la ragazza non è solo uno strumento di lavoro e documentazione ma un oggetto di grande valore affettivo: questo il primo impatto del gruppo di profughi con la nuova realtà. TJ, che assieme a Laura si occupa anche di volontariato (col welfare distrutto da Blair e i suoi successori dopo il primo scossone dato dalla Thatcher lo Stato è vieppiù assente e nemmeno la chiesa riesce più a fare molto e tutto viene lasciato all'iniziativa e all'impegno di singoli o gruppi di volonterosi), cerca di fare da cuscinetto fra le diverse istanze, nonché tra i propri interessi e la propria coscienza: nessuno meglio di lui conosce i discorsi "da bar" sempre più razzisti che prevalgono tra i suoi clienti di sempre, e va in crisi quando un gruppo di essi gli chiedono di riaprire la sala dietro al bancone, chiusa da anni e dove vengono conservati devotamente i cimeli delle lotte di un tempo (la gloriosa sconfitta dei minatori inglesi di ormai 40 anni fa) per tenere una riunione chiaramente diretta a combattere "l'invasione dei beduini", perché nel frattempo ha stretto un rapporto sempre più profondo di amicizia e collaborazione con Yara e con la sua famiglia e con tutto il nuovo "vicinato". Deciderà di sistemarla e riaprila, invece, per farne una sorta di mensa per tutti, indigeni come stranieri, perché la povertà colpisce chiunque, e in parte l'esperimento riesce, inizialmente con cadenza bisettimanale, con il contributo di esponenti di entrambe le comunità che, operando assieme e conoscendosi, finiscono col superare, come sempre accade quando le persone stanno assieme cooperando a uno scopo comune in quanto tali e non incasellate come stereotipi, finché i più idioti, rancorosi e vigliacchi non la metteranno fuori uso provocando un incidente. Ma TJ di cui nel corso del film e dalle confessioni che fa a Yara scopriremo anche altri lati della personalità e dei trascorsi, pur essendo un "perdente nato", bastonato nella vita e negli affetti anche per demeriti suoi, davanti all'ennesima sconfitta e pieno di rancore con parte della sua "affezionata clientela" riesce a trattenere la rabbia quando arriva la notizia dalla Siria del ritrovamento del cadavere del padre di Yara, che a suo tempo aveva detto che avrebbe preferito saperlo morto che prigioniero e in balia dei torturatori, ed è il momento in cui anche la comunità del paesino, tranne qualche irriducibile cretino, ritrova spontaneamente un moto di solidarietà sincera e la propria dignità. Perché quello che si dimentica sempre, è che il nemico vero sta in alto, non in basso, anche se è più facile crederlo perché più a portata di mano e più debole proprio perché bisognoso. E il potere, quello vero, lo sa benissimo ed è sempre pronto ad approfittare di questo meccanismo perverso e facile da mettere in moto. Divide et Impera, massima latina che vale dalla notte dei tempi, in quelli relativamente più recenti è stata applicata con il massimo dei risultati col minimo sforzo proprio dall'Impero Britannico, e gli effetti nefasti li stiamo vedendo all'opera tutt'ora, ultimo caso dalle parti di Gaza... Film come sempre esemplare e un doveroso e necessario calcione nello stomaco. Per ricordare com'è la realtà, "là fuori". Non in Medio Oriente: all'uscio di casa nostra, sul marciapiede di fronte, nella via a fianco di quella in cui abitiamo. Dunque lunga vita e grazie alla Vecchia Quercia e grazie ancora!

1 commento:

  1. Questo genere di film non fa altro che rilevare la profonda ingiustizia ed iniquità su cui la nostra specie è fondata. Una specie inutile e dannosa, senza speranza.
    Siamo nelle mani di pochi potenti cretini a cui importa solo di sè stessi e la consapevolezza di alcuni su come vanno realmente le cose non aiuta ora come allora. Don Chisciotte insegna.

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