"La vita che verrà - Herself" (Herself) di Phyllida Lloyd. Con Clare Dunne, Harriert Walter, Conleth Hill, Ian Lloyd Anderson, Ericka Roe, Rebecca O'Mara, Molly McCann, Ruby Rose O'Hara e altri. Irlanda 2020 ★★★=
Benché le prime immagini del film mostrino un quadretto famigliare quasi idilliaco, con una al centro giovane madre, Sandra come ce n'è tante a Dublino ma caratterizzata da una voglia sotto l'occhio sinistro come la sua interprete (e autrice della prima stesura della sceneggiatura, Clare Dunne), la realtà è un'altra: la donna, non un esempio di trasparenza e di chiarezza di idee, aveva già intenzione di andarsene dalla casa coniugale per proteggere sé stessa e le due figlie dalle violenze del marito, Greg, che quando scopre che ha messo dei soldi da parte per realizzare il suo scopo la picchia fino a farla finire in ospedale. Sandra tiene duro, si arrabatta tra pulizie a casa di una dottoressa dove già lavorava sua madre prima di morire e in un pub e finisce per soggiornare in una camera d'albergo vicino all'aeroporto sovvenzionata dai servizi sociali e perché non può permettersi un'abitazione a causa dei prezzi folli che imperversano anche nella capitale irlandese, resistendoe alle lusinghe del marito Gary, che assicura di essere cambiato, tornato a vivere dai genitori e che pure deve incrociare quando va a portargli le bambine, ma soprattutto Emma, la più piccola, è terrorizzata dal padre perché ha assistito, non notata la lui, al pestaggio, e non vuole vederlo, diventando così motivo di contesa legale. L'intento di Sandra, che pure incappa in qualche sbavatura burocratica, è soprattutto quello di proteggere le due piccole, oltre alla decisione ferrea di dare una svolta definitiva alla sua vita, senza farsi fregare da rimpianti e ricatti affettivi, simboleggiata dalla messa in cantiere di una nuova casa sul terreno concessole dalla dottoressa presso cui lavora, Peggy O' Toole (la brava Herriet Walter, il personaggio più riuscito dal film), quando scopre, su un video diffuso in rete, che è possibile farlo con una spesa attorno ai 30 mila euro e dopo che si è messa in contatto con l'uomo che lo ha diffuso e autore del progetto. Riuscirà nell'intento grazie alla lavoro prestato gratuitamente nei fine settimana da un gruppo di volontari di vario genere raccolti in maniera abbastanza casuale grazie a un sentimento di solidarietà, ma qui si cade un po' troppo sul melenso e sul buonista andante, e benché non vi sia, causa sorpresa finale, che non svelo, lo happy end che, in dirittura di arrivo della pellicola, ci si poteva aspettare come inevitabile, la svolta comunque nella vita di Sandra è fatta e sarà definitiva. Gli intenti sono buoni, la storia sta abbastanza in piedi, l'interpretazione della Dunne è partecipata e convinta (bravissime anche le due bambine) ma c'è qualcosa che tiene distante e non coinvolge lo spettatore, o almeno me: ci andrei piano a definire la regista Phyllida Lloyd l'equivalente femminile di Ken Loach, altra pasta e un modo benpiù determinato e preciso di mettere il dito nella piaga. Si guadagna comunque la sufficienza.
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