"La nostra storia" (El olvido que seremos) di Fernando Trueba. Con Javier Cámara, Nicolas Reyes Cano, Juan Pablo Orrego, Patricia Tamayo, María Teresa Barreto, Laura Londoño, Elizabeth Minotta, Kami Zea, Daniela Abad, Aida Morales e altri. Colombia 2020 ★★½
Come vuole la regola, più alte sono le aspettative e più forte è la delusione, ed è quel che accade in questo film sulla figura di Héctor Abad Gómez, tratto dal libro edito nel 2006 scritto dal figlio Hector Gómez Faciolince, medico di Medellín attivo dagli anni Sessanta agli Ottanta, professore universitario pensionato anzitempo per il suo impegno sociale e ucciso proprio per questo dai paramilitari nel 1987 durante la guerra civile che ha tormentato la Colombia per più di mezzo secolo in maniera più o meno strisciante e non ancora del tutto risolta. Forse perché non c'è nulla di spettacolare, a parte l'epilogo, nella vita di quest'uomo, reso in maniera impeccabile dal bravissimo Javier Cámara, un uomo saggio, generoso, intelligente, ironico, padre amorevole di una famiglia numerosa: ben 5 figlie e un solo maschio, quello che porta il suo nome e che gli ha dedicato il libro che ne racconta la storia. Quello che si vede è il ritratto di una famiglia della classe medio alta colombiana, dove un uomo di scienza, che pure avendo una moglie nipote di un cardinale rimane un laico e un agnostico, e che per di più si batte per migliorare le condizioni igieniche dei rioni degradati in cui vive buona parte della popolazione più povera, facendo analizzare le acque e propugnando un sistema di fognature decente, oltre a promuovere campagne di vaccinazione di massa, è visto con sospetto per il suo attivismo, che pure, in un primo momento, non ha alcuna coloritura politica. Anzi: Abad viene attaccato da destra perché "comunista" e da sinistra perché conservatore, tanto per cambiare, non appartenendo ad alcuna parrocchia. In questo sostanziale quadretto di famiglia perfetta, dove si insinua pure il dramma della morte di una delle ragazze per un melanoma della pelle, tutto è esemplare, fin troppo, quasi, e pare di assistere, a tratti, a una delle tipiche telenovelas sudamericane; anche le interpretazioni, sia delle ragazze, sia del figlio in età matura (Juan Pablo Orrego è meno espressivo di un carciofo), lasciano piuttosto a desiderare, mentre il meglio lo danno i ragazzini che interpretano Hector a 10 anni e la sorellina più piccola. In compenso è resa bene l'ambientazione e la vita di una famiglia borghese locale in quella parte del secolo scorso. Il racconto non avviene in maniera lineare, anzi: inizia a Torino nel 1983 dove il figlio Hector è andato a studiare letteratura all'università e dove viene raggiunto dall'invito a rientrare in Colombia per assistere al discorso di addio del padre alla facoltà dove insegnava, il tutto in bianco e nero, mentre gli anni Settanta, quelli felici della famiglia Abad, vengono resi con fulgidi colori che rendono il calore tropicale, per tornare al bianco e nero degli ultimi 4 anni di vita del dottore, arrivato a candidarsi a sindaco della città pur al corrente dei rischi che avrebbe corso. Sotto alcuni aspetti La nostra storia mi ha ricordato Roma di Alfonso Cuarón, dove la scelta del bianco e nero era funzionale al racconto e che pure esso, descrivendo la vita di una famiglia benestante dall'interno, rendeva bene l'idea di un'intera società, mentre qui le cose sono più schematiche da un lato e più agiografiche dall'altro. Credo dipenda anche dal fatto che sia il regista, sia l''interprete principale, il pur ottimo Cámara, siano spagnoli e non latinoamericani: c'è qualcosa di troppo meccanico e distanziato che frena la partecipazione dello spettatore. Oltre alla lentezza, alla ripetitività, all'indugiare sulle carinerie, manca il mordente che, a mio parere, avrebbe dato la mano di qualcuno nato e cresciuto nella realtà colombiana, e quel Paese, e i suoi vicini, non mancano certo di talenti cinematograficamente all'altezza, per cui la scelta è stata, a mio avviso, perdente. Di positivo rimane l'omaggio a una persona degna affinché la sua vicenda umana non cada nell'oblio, come lui stesso aveva previsto come inevitabile in un suo scritto, e come del resto esprime, al solito meglio, il titolo originale: L'oblio che saremo (che ci avvolgerà).
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