"Un altro giro" (Druk) di Thomas Vinterberg. Con Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Magnus Milang, Lars Ranthe, Marie Bonnevie, Helene Reingaard Neumann e altri. Danimarca 2020 ★★★+
A un'Academy in evidente stato di depressione acuta, ridotta ad assegnare ben tre Oscar a un film di raro squallore come Nomadland, non poteva sfuggire Un altro giro per premiare il miglior film "straniero" (ossia non USA), che però ha se non altro il pregio di affrontare, con tono ironico e lieve, per quanto possa consentirlo l'indole scandinava, temi come la tristezza della crisi di mezza età, della fine delle passioni e dell'alcolismo, a cui da quelle parti d'Europa ci si abbandona spesso e volentieri per la innata incapacità di comunicare: col prossimo quanto con sé stessi, o quantomeno di viversi addosso con più leggerezza. Sicuramente in confronto all'altro è un capolavoro, per quanto Thomas Vinterberg abbia fatto, a mio avviso, meglio in Festen, poi ne Il sospetto, sempre con Mikkelsen protagonista, e con l'autobiografico e graffiante La comune. Eppure anche questa pellicola ad alto tasso alcolico, lasciato sedimentare il giudizio per qualche giorno, non è disprezzabile. Un quartetto di coetanei, tutti insegnanti nello stesso liceo di una qualche località della Danimarca, si lasciano tentare da una sperimentazione per suffragare la validità delle teorie dello psichiatra norvegese Finn Skårderud, secondo il quale l'uomo viene al mondo con una fisiologica carenza di alcol, il cui livello andrebbe mantenuto costantemente a un livello di 0,05, per ottimizzare le proprie potenzialità psicofisiche, ma soprattutto quelle relazionali, e così cominciano a bere regolarmente e "scientificamente" durante le ore di lavoro, tenendo anche un dettagliato diario sugli effetti nel tempo. Tutti e quattro, ma soprattutto Martin, interpretato da Mikkelsen, quello più in crisi, anche con la moglie, notano presto un miglioramento nel rapporto con i loro studenti e nel modo di affrontare l'esistenza, e concordano di passare alla "fase due", aumentando man mano le dosi di assunzione, con gli effetti grotteschi che lascio immaginare sia a scuola, sia nelle rispettive vite famigliari: uno dei quattro, purtroppo, precipiterà nella dipendenza, ma anche nella presa di coscienza della propria irrimediabile infelicità, e il tragico epilogo che lo riguarda consentirà agli altri tre amici e colleghi di tenere a freno la propria situazione, comunque entro binari di una controllabile disponibilità alla trasgressione: se fosse stato un film USA, la scena finale sarebbe stata una riunione di alcolisti anonimi in una triste palestra o sala riunioni, ma siccome Vinterberg non è né un bacchettone moralista né un buonista da sbarco, Martin/Mikkelsen si scatena pubblicamente in un ballo liberatorio per cui andava famoso dai tempi in cui era studente e in cui aveva finora evitato di esibirsi, e questo durante una festa di maturità degli allievi del suo liceo: a suo modo, un inno alla libertà ma anche alla capacità di prendersi la responsabilità delle proprie azioni ed emozioni. Alla fine un film simpatico e intelligente, non banale, dove forse manca un po' di mordente ma apprezzabile.
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