"La donna dello scrittore" (Transit) di Christian Petzold. Con Franz Ragowski, Paula Beer, Godehard Giese, Lilien Batman, Maryam Zaree, Barbara Auer, Matthias Brandt e altri. Germania, Francia 2018 ★★★★½
Film non facile, per la sua apparente lentezza e didascalicità (una voce narrante che racconta sensazioni e pensieri dei personaggi e che solo nel finale si rivela essere il barista che raccoglie le confessioni del protagonista) che sono in realtà dovute a un voluto effetto di spaesamento, che l'abile regista tedesco Christian Petzold, già autore dei suggestivi e coinvolgenti La scelta di Barbara e Il segreto del suo volto, ottiene attraverso una trasposizione temporale estremante efficace e significativa, collocando al giorno d'oggi (ambienti, automobili, vestiti) una vicenda storica: il tentativo di fuga di ebrei e dissidenti tedeschi dalla Francia del 1940 mentre Parigi stava per essere occupata dai nazisti, precedendoli verso Sud nella speranza di ottenere visti e biglietti di imbarco per le Americhe prima di venire rastrellati dal regime collaborazionista, consegnati al Reich e rinchiusi nei campi di concentramento. L'effetto di questo sfasamento è una sorta di atemporalità che sottolinea lo straniamento e la particolare condizione di chi è fuggiasco o clandestino e la sua relazione di estraneità con un ambiente circostante che vive nella sua normalità, in una dimensione completamente distaccata pur occupando gli stessi spazi e vivendo lo stesso momento storico ma, per l'appunto, in maniera diversa. La sceneggiatura è tratta dal romanzo in parte autobiografico di Anna Seghers Transito, e racconta delle peripezie di Georg, splendidamente interpretato da Franz Ragowski, un giovane comunista tedesco braccato già a Parigi e che finisce per appropriarsi dell'identità, nonché di un manoscritto e di alcune lettere della moglie di un famoso scrittore tedesco, Weidel, anche lui perseguitato ma che ha preferito suicidarsi in un albergo piuttosto che farsi arrestare. Georg decide così di raggiungere Marsiglia, dove finisce per entrare in contatto proprio con Maria (Paula Beer), la moglie di Weidel che aveva spedito al marito due lettere: una con cui gli annunciava di lasciarlo e l'altra con cui gli chiedeva di raggiungerla nel capoluogo Midi, da dove avrebbero cercato di ottenere un visto per il Messico. La donna è in compagnia di Richard, un medico anch'esso in fuga e in procinto di partire, e finisce per innamorarsi di lei, ricambiato, ma non le svela di aver preso l'identità del marito nemmeno quando riesce a procurare per entrambi visto e biglietto d'imbarco, e comunque le cose non andranno come avrebbero potuto. Ma non è questo il nocciolo del film, che invece esprime magnificamente lo stato di inquietudine, paura, sospensione, possibilità che si aprono e chiudono all'improvviso, incertezza, fragilità ma anche coerenza, umanità e solidarietà di chi si trova in fuga e in preda agli eventi. Petzold torna su un tema a lui caro e affrontato nei due film precedenti: le possibili scelte individuali, anche quelle meno prevedibili, davanti all'incombenza di un regime oppressivo e alle forze che ne sono l'incarnano e l'indifferenza di chi non vi è, almeno al momento, immediatamente coinvolto e non vuol rendersi conto delle conseguenze, anche per sé stesso, della propria cecità e del proprio silenzio; e non si limita a dire che tutto potrebbe ripetersi anche oggi: sta già accadendo, e non mi riferisco banalmente alle migrazioni in atto.
Film non facile, per la sua apparente lentezza e didascalicità (una voce narrante che racconta sensazioni e pensieri dei personaggi e che solo nel finale si rivela essere il barista che raccoglie le confessioni del protagonista) che sono in realtà dovute a un voluto effetto di spaesamento, che l'abile regista tedesco Christian Petzold, già autore dei suggestivi e coinvolgenti La scelta di Barbara e Il segreto del suo volto, ottiene attraverso una trasposizione temporale estremante efficace e significativa, collocando al giorno d'oggi (ambienti, automobili, vestiti) una vicenda storica: il tentativo di fuga di ebrei e dissidenti tedeschi dalla Francia del 1940 mentre Parigi stava per essere occupata dai nazisti, precedendoli verso Sud nella speranza di ottenere visti e biglietti di imbarco per le Americhe prima di venire rastrellati dal regime collaborazionista, consegnati al Reich e rinchiusi nei campi di concentramento. L'effetto di questo sfasamento è una sorta di atemporalità che sottolinea lo straniamento e la particolare condizione di chi è fuggiasco o clandestino e la sua relazione di estraneità con un ambiente circostante che vive nella sua normalità, in una dimensione completamente distaccata pur occupando gli stessi spazi e vivendo lo stesso momento storico ma, per l'appunto, in maniera diversa. La sceneggiatura è tratta dal romanzo in parte autobiografico di Anna Seghers Transito, e racconta delle peripezie di Georg, splendidamente interpretato da Franz Ragowski, un giovane comunista tedesco braccato già a Parigi e che finisce per appropriarsi dell'identità, nonché di un manoscritto e di alcune lettere della moglie di un famoso scrittore tedesco, Weidel, anche lui perseguitato ma che ha preferito suicidarsi in un albergo piuttosto che farsi arrestare. Georg decide così di raggiungere Marsiglia, dove finisce per entrare in contatto proprio con Maria (Paula Beer), la moglie di Weidel che aveva spedito al marito due lettere: una con cui gli annunciava di lasciarlo e l'altra con cui gli chiedeva di raggiungerla nel capoluogo Midi, da dove avrebbero cercato di ottenere un visto per il Messico. La donna è in compagnia di Richard, un medico anch'esso in fuga e in procinto di partire, e finisce per innamorarsi di lei, ricambiato, ma non le svela di aver preso l'identità del marito nemmeno quando riesce a procurare per entrambi visto e biglietto d'imbarco, e comunque le cose non andranno come avrebbero potuto. Ma non è questo il nocciolo del film, che invece esprime magnificamente lo stato di inquietudine, paura, sospensione, possibilità che si aprono e chiudono all'improvviso, incertezza, fragilità ma anche coerenza, umanità e solidarietà di chi si trova in fuga e in preda agli eventi. Petzold torna su un tema a lui caro e affrontato nei due film precedenti: le possibili scelte individuali, anche quelle meno prevedibili, davanti all'incombenza di un regime oppressivo e alle forze che ne sono l'incarnano e l'indifferenza di chi non vi è, almeno al momento, immediatamente coinvolto e non vuol rendersi conto delle conseguenze, anche per sé stesso, della propria cecità e del proprio silenzio; e non si limita a dire che tutto potrebbe ripetersi anche oggi: sta già accadendo, e non mi riferisco banalmente alle migrazioni in atto.
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