"The Wife - Vivere nell'ombra" (The Wife) di Björn Runge. Con Glenn Close, Jonathan Pryce, Christian Slater, Max Irons, Harry Lloyd, Annie Starke, e altri. USA, Svezia, GB 2017 ★★½
Tra gli ultimi quattro film visti, è il secondo che parla di gostwriter (il "negro" in gergo editoriale nostrano, ormai desueto perché politicamente scorretto), figura che sta vivendo il suo momento di gloria cinematografica covando le sue vendette (è anche il secondo con protagonista l'ottimo Jonathan Pryce; sempre nell'ultimo poker di film doppietta anche per Adam Driver); il terzo che ha a che vedere con la scrittura, e il quarto che tratta, in sostanza, di scambio di ruoli e del "doppio": d'accordo che si tratta di tematiche ricorrenti sia nel cinema sia nel teatro (e questo in particolare è un film teatrale, che vede duettare due attori di altissimo livello, uno dei due però doppiato in maniera discutibile, eccessiva, invadente: ho scoperto che si trattava di Gabriele Lavia, e allora tutto è risultato chiaro), ma è curiosa la coincidenza nelle uscite in sala. Alla fine, con Blakkklansman, è quello che mi ha convinto di meno, anche se non si può dire che sia inguardabile: sarà che sono troppo "americani", per quanto colti e raffinati, e dunque schematici e scontati e al contempo comunque improbabili. Non che manchino i colpi a sorpresa in queste "scene da un matrimonio" di un'anziana coppia che vive nel Connecticut e da Stoccolma riceve la notizia che lui, Joe Castleman, ebreo newyorkese (ma guarda un po'), ex professore, scrittore di successo, scapestrato e sempre perdonato, infantile, pieno di se e nevrotico, amorevolmente accudito dalla seconda moglie Joan, una sua ex studentessa che ha sedotto con la parlantina, ha vinto il Nobel per la letteratura del 1992. Durante il viaggio e il soggiorno in Svezia, che compiono col figlio David, aspirante scrittore a sua volta, sostanzialmente ignorato dal padre da cui vorrebbe approvazione e consigli, scatta qualcosa nella mente di Joan, anche a causa dell'incontro con un altro scrittore, studioso di Castleman, che ha avuto l'incarico di scrivere una biografia di Joe, e di ciò che questi le fa ricordare per cui, mentre fervono i preparativi per la consegna del premio, con tutto il ridicolo cerimoniale e le stranezze dei rituali e della buroacrazia scandinava, ripercorre nella memoria le tappe della loro vita in comune che si regge su un patto segreto e tutto sommato di reciproca soddisfazione, perché nonostante tutto si amano e hanno bisogno l'uno dell'altra. Non sto facendo spoiler, perché avrete già capito, come ho capito io dopo circa trenta secondi, che in realtà è Joan a scrivere i romanzi di Joe, perché è lei che possiede il talento di dar vita ai personaggi delle storie che lui inventa, riversandovi fin nei dettagli episodi della sua stessa vita matrimoniale (almeno dal suo punto di vista, che il marito ignora) rendendoli così credibili, mentre lui rimane l'istrione autocompiaciuto che ama giogioneggiare in pubblico. L'equilibrio di coppia, nonostante la "presa di coscienza" di lei che "sclera" proprio durante il pranzo di gala fuggendo in albergo dove avviene la scena madre (anzi: due) e lo svelamento di quel che già sapevamo, è destinato a durare comunque, nonostante tutto, vita natural durante e anche oltre. A parte le prove dei due protagonisti, francamente poco altro.
Tra gli ultimi quattro film visti, è il secondo che parla di gostwriter (il "negro" in gergo editoriale nostrano, ormai desueto perché politicamente scorretto), figura che sta vivendo il suo momento di gloria cinematografica covando le sue vendette (è anche il secondo con protagonista l'ottimo Jonathan Pryce; sempre nell'ultimo poker di film doppietta anche per Adam Driver); il terzo che ha a che vedere con la scrittura, e il quarto che tratta, in sostanza, di scambio di ruoli e del "doppio": d'accordo che si tratta di tematiche ricorrenti sia nel cinema sia nel teatro (e questo in particolare è un film teatrale, che vede duettare due attori di altissimo livello, uno dei due però doppiato in maniera discutibile, eccessiva, invadente: ho scoperto che si trattava di Gabriele Lavia, e allora tutto è risultato chiaro), ma è curiosa la coincidenza nelle uscite in sala. Alla fine, con Blakkklansman, è quello che mi ha convinto di meno, anche se non si può dire che sia inguardabile: sarà che sono troppo "americani", per quanto colti e raffinati, e dunque schematici e scontati e al contempo comunque improbabili. Non che manchino i colpi a sorpresa in queste "scene da un matrimonio" di un'anziana coppia che vive nel Connecticut e da Stoccolma riceve la notizia che lui, Joe Castleman, ebreo newyorkese (ma guarda un po'), ex professore, scrittore di successo, scapestrato e sempre perdonato, infantile, pieno di se e nevrotico, amorevolmente accudito dalla seconda moglie Joan, una sua ex studentessa che ha sedotto con la parlantina, ha vinto il Nobel per la letteratura del 1992. Durante il viaggio e il soggiorno in Svezia, che compiono col figlio David, aspirante scrittore a sua volta, sostanzialmente ignorato dal padre da cui vorrebbe approvazione e consigli, scatta qualcosa nella mente di Joan, anche a causa dell'incontro con un altro scrittore, studioso di Castleman, che ha avuto l'incarico di scrivere una biografia di Joe, e di ciò che questi le fa ricordare per cui, mentre fervono i preparativi per la consegna del premio, con tutto il ridicolo cerimoniale e le stranezze dei rituali e della buroacrazia scandinava, ripercorre nella memoria le tappe della loro vita in comune che si regge su un patto segreto e tutto sommato di reciproca soddisfazione, perché nonostante tutto si amano e hanno bisogno l'uno dell'altra. Non sto facendo spoiler, perché avrete già capito, come ho capito io dopo circa trenta secondi, che in realtà è Joan a scrivere i romanzi di Joe, perché è lei che possiede il talento di dar vita ai personaggi delle storie che lui inventa, riversandovi fin nei dettagli episodi della sua stessa vita matrimoniale (almeno dal suo punto di vista, che il marito ignora) rendendoli così credibili, mentre lui rimane l'istrione autocompiaciuto che ama giogioneggiare in pubblico. L'equilibrio di coppia, nonostante la "presa di coscienza" di lei che "sclera" proprio durante il pranzo di gala fuggendo in albergo dove avviene la scena madre (anzi: due) e lo svelamento di quel che già sapevamo, è destinato a durare comunque, nonostante tutto, vita natural durante e anche oltre. A parte le prove dei due protagonisti, francamente poco altro.
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