"Le ereditiere" (Las Herederas) di Marcelo Martinessi. Con Ana Brun, Margarita Irun, Ana Ivanova Villagra, María Martins e altri. Paraguay, Germania, Uruguay, Brasile, Norvegla, Francia 2017 ★★★★
Assieme alle Guyane, il Paraguay è il Paese più negletto di tutta l'America Meridionale, non soltanto per la sua storia, a causa del suo isolamento; cinematograficamente parlando, attraverso questo lavoro di Marcelo Martinessi, al suo esordio nel lungometraggio ma già conosciuto come documentarista e pluripremiato autore di corti, si colloca all'altezza delle migliori produzioni argentine, brasiliane e cilene, più conosciute (ma mai abbastanza) in Europa. Film intimista, racconta indirettamente diversi aspetti del suo Paese con rapide pennellate e, prevalentemente, il non detto, attraverso una vicenda personale a sua volta emblematica: quella di due donne della buona società ormai quasi anziane, Chiquita e Chela, che convivono da trent'anni nella dimora avìta della seconda nel centro di Asunción e che, cadute in ristrettezze, sono costrette a venderne mano a mano i beni, a cominciare dal mobilio. L'universo in cui si muovono è pressoché totalmente al femminile, e questo in uno dei Paesi latinoamericani più machisti e autoritari; Chiquita è quella più intraprendente e disinvolta delle due, e quella che si occupa personalmente del contatto con i possibili acquirenti, tanto da finire in prigione a scontare una pena per truffa: è proprio questo a cambiare le prospettive di Chela, magnificamente interpretata da Ana Brun, una donna che fin lì assisteva passivamente, quasi al limite dell'abulia, al progressivo svuotamento della propria abitazione così come al decadimento del proprio corpo e allo svanire di senso di un'esistenza che si trascinava stancamente tra consuetudine e autocommiserazione, e si ritrova costretta a uscire dal guscio in cui si è avvoltolata e a riprendere un minimo di iniziativa, fossa solo il fatto di dare disposizioni alla serva analfabeta e andare a trovare l'amica che l'accudiva quotidianamente nel giorno delle visite; riesuma perfino la vecchia Mercedes ereditata dal padre e si offre di scarrozzare, pur avendo la patente scaduta, alcune anziane signore dell'alta società al club esclusivo dove si ritrovano a giocare a carte e spettegolare, inventandosi una professione da tassista abusiva; lì entra in contatto con la più giovane e affascinante Angie, ed è come se le si risvegliassero i sensi e, con questo, l'attenzione per se stessa: non che rifiorisca, ma l'incontro con una realtà diversa da quella a cui si era abbandonata per decenni le fa tornare sì una voglia di vivere che aveva dimenticato nell'abitudine, ma soprattutto a considerare la propria esistenza sotto occhi diversi e ad accettare sé stessa e i propri desideri. Nulla di eclatante e morboso a scatenare il cambiamento: un percorso che viene evocato con dettagli minimi, espressioni del volto, posture, movimenti, le suggestioni dell'atmosfera circostante, che è pur sempre prevalentemente quella dell'interno di una casa, quella di Chela un tempo signorile e in crescente decadenza, o quella dove si ritrovano le vecchie carampane imbellettate: quando si dice che sono le immagini a parlare, prima e più ancora dei personaggi. Per riuscirci, ci vogliono delle interpreti all'altezza, e quelle scelte da Martinessi lo sono, a cominciare dalla Brun che rende con grande sensibilità il personaggio principale, e una mano leggera quanto precisa e attenta dietro le telecamera, che rende gradevolmente avvolgenti le immagini di una pellicola che altrimenti risulterebbe lenta se non statica.
Assieme alle Guyane, il Paraguay è il Paese più negletto di tutta l'America Meridionale, non soltanto per la sua storia, a causa del suo isolamento; cinematograficamente parlando, attraverso questo lavoro di Marcelo Martinessi, al suo esordio nel lungometraggio ma già conosciuto come documentarista e pluripremiato autore di corti, si colloca all'altezza delle migliori produzioni argentine, brasiliane e cilene, più conosciute (ma mai abbastanza) in Europa. Film intimista, racconta indirettamente diversi aspetti del suo Paese con rapide pennellate e, prevalentemente, il non detto, attraverso una vicenda personale a sua volta emblematica: quella di due donne della buona società ormai quasi anziane, Chiquita e Chela, che convivono da trent'anni nella dimora avìta della seconda nel centro di Asunción e che, cadute in ristrettezze, sono costrette a venderne mano a mano i beni, a cominciare dal mobilio. L'universo in cui si muovono è pressoché totalmente al femminile, e questo in uno dei Paesi latinoamericani più machisti e autoritari; Chiquita è quella più intraprendente e disinvolta delle due, e quella che si occupa personalmente del contatto con i possibili acquirenti, tanto da finire in prigione a scontare una pena per truffa: è proprio questo a cambiare le prospettive di Chela, magnificamente interpretata da Ana Brun, una donna che fin lì assisteva passivamente, quasi al limite dell'abulia, al progressivo svuotamento della propria abitazione così come al decadimento del proprio corpo e allo svanire di senso di un'esistenza che si trascinava stancamente tra consuetudine e autocommiserazione, e si ritrova costretta a uscire dal guscio in cui si è avvoltolata e a riprendere un minimo di iniziativa, fossa solo il fatto di dare disposizioni alla serva analfabeta e andare a trovare l'amica che l'accudiva quotidianamente nel giorno delle visite; riesuma perfino la vecchia Mercedes ereditata dal padre e si offre di scarrozzare, pur avendo la patente scaduta, alcune anziane signore dell'alta società al club esclusivo dove si ritrovano a giocare a carte e spettegolare, inventandosi una professione da tassista abusiva; lì entra in contatto con la più giovane e affascinante Angie, ed è come se le si risvegliassero i sensi e, con questo, l'attenzione per se stessa: non che rifiorisca, ma l'incontro con una realtà diversa da quella a cui si era abbandonata per decenni le fa tornare sì una voglia di vivere che aveva dimenticato nell'abitudine, ma soprattutto a considerare la propria esistenza sotto occhi diversi e ad accettare sé stessa e i propri desideri. Nulla di eclatante e morboso a scatenare il cambiamento: un percorso che viene evocato con dettagli minimi, espressioni del volto, posture, movimenti, le suggestioni dell'atmosfera circostante, che è pur sempre prevalentemente quella dell'interno di una casa, quella di Chela un tempo signorile e in crescente decadenza, o quella dove si ritrovano le vecchie carampane imbellettate: quando si dice che sono le immagini a parlare, prima e più ancora dei personaggi. Per riuscirci, ci vogliono delle interpreti all'altezza, e quelle scelte da Martinessi lo sono, a cominciare dalla Brun che rende con grande sensibilità il personaggio principale, e una mano leggera quanto precisa e attenta dietro le telecamera, che rende gradevolmente avvolgenti le immagini di una pellicola che altrimenti risulterebbe lenta se non statica.
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