"Euforia" di Valeria Golino. Con Valerio Mastandrea, Riccardo Scamarcio, Isabella Ferrari, Valentina Cervi, Jasmine Trinca, Marzia Ubaldi e altri. Italia 2018 ★★★★
Ammetto che l'inizio del film, l'ambientazione romana e terrazzata (un attico "a" Via del Corso, come usano a dire nell'Urbe, con vista Altare della Patria a sinistra, sullo sfondo), l'entourage gay, modaiolo e festaiolo che circonda Matteo (Riccardo Scamarcio), giovane imprenditore di successo che realizza installazioni in 3D e bazzica il Vaticano, nonché alcuni passaggi come quello in discoteca o il "trenino" che sembrano d'obbligo in ogni film di produzione nazionale, che si rifacciano o meno alla "commedia all'italiana", stavano innervosendomi, ma nel prosieguo si sono rivelati innocui se non perfino funzionali alla storia che Valeria Golino ha voluto raccontare nel suo secondo film da regista e che come al suo esordio con Miele affronta, pur di sghembo e non mostrandola né parlandone, la morte. Che si insinua nella vita di Matteo attraverso la malattia che colpisce Ettore (Valerio Mastandrea), suo fratello maggiore che ne è caratterialmente l'opposto: un professore di scienze delle medie, riflessivo e prudente quanto lui è intraprendente, smodato e pure vizioso, che vive ancora nella cittadina di provincia da cui provengono. Quando Ettore va a sottoporsi a degli esami nella capitale per degli svenimenti che non si spiegano, è a Matteo, che lo ha indirizzato a un luminare, che viene comunicato che il fratello è affetto da un tumore al cervello, e la sua scelta è quella di minimizzare, fingere che tutto sia normale e, dopo averlo convinto a farsi ospitare da lui mentre procede con esami e terapie, cercare di coinvolgere Ettore, che viene lasciato all'oscuro della gravità del male, nella sua esistenza lussuosa e festaiola per distrarlo ma anche per la sua smania di sentirsi indispensabile, generoso, speciale nei confronti della famiglia d'origine (quasi a farsi perdonare di essere frocio, come gli rinfaccia Ettore quando, per un momento, i due si affronteranno a muso duro). Il film funziona sia perché la la scelta degli attori principali è particolarmente azzeccata, la coppia Mastandrea Scamarcio è affiatata e si integra e completa alla perfezione rendendo credibili i personaggi e il loro complesso rapporto, anche se non soprattutto in senso fisico; sia perché la Golino ha un tocco incredibilmente lieve e poco invadente e riesce a non scadere mai nel patetico e al contempo a trattare in modo ironico alcuni dei luoghi comuni di cui parlavo in apertura: l'idea della protesi ai polpacci che Matteo si fa inserire dal chirurgo estetico è, ad esempio, geniale. Ben disegnati anche i personaggi di contorno e all'altezza i rispettivi interpreti. Come regista, Valeria Golino si conferma capace di amalgamare in un insieme che funziona diversi ingredienti che rendono le sue pellicole mai banali, intelligenti e capaci di affrontare temi scomodi con un tocco leggero e originale; all'altezza e non scontata anche la colonna sonora, e non p un dettaglio da poco in un film italiano.
Ammetto che l'inizio del film, l'ambientazione romana e terrazzata (un attico "a" Via del Corso, come usano a dire nell'Urbe, con vista Altare della Patria a sinistra, sullo sfondo), l'entourage gay, modaiolo e festaiolo che circonda Matteo (Riccardo Scamarcio), giovane imprenditore di successo che realizza installazioni in 3D e bazzica il Vaticano, nonché alcuni passaggi come quello in discoteca o il "trenino" che sembrano d'obbligo in ogni film di produzione nazionale, che si rifacciano o meno alla "commedia all'italiana", stavano innervosendomi, ma nel prosieguo si sono rivelati innocui se non perfino funzionali alla storia che Valeria Golino ha voluto raccontare nel suo secondo film da regista e che come al suo esordio con Miele affronta, pur di sghembo e non mostrandola né parlandone, la morte. Che si insinua nella vita di Matteo attraverso la malattia che colpisce Ettore (Valerio Mastandrea), suo fratello maggiore che ne è caratterialmente l'opposto: un professore di scienze delle medie, riflessivo e prudente quanto lui è intraprendente, smodato e pure vizioso, che vive ancora nella cittadina di provincia da cui provengono. Quando Ettore va a sottoporsi a degli esami nella capitale per degli svenimenti che non si spiegano, è a Matteo, che lo ha indirizzato a un luminare, che viene comunicato che il fratello è affetto da un tumore al cervello, e la sua scelta è quella di minimizzare, fingere che tutto sia normale e, dopo averlo convinto a farsi ospitare da lui mentre procede con esami e terapie, cercare di coinvolgere Ettore, che viene lasciato all'oscuro della gravità del male, nella sua esistenza lussuosa e festaiola per distrarlo ma anche per la sua smania di sentirsi indispensabile, generoso, speciale nei confronti della famiglia d'origine (quasi a farsi perdonare di essere frocio, come gli rinfaccia Ettore quando, per un momento, i due si affronteranno a muso duro). Il film funziona sia perché la la scelta degli attori principali è particolarmente azzeccata, la coppia Mastandrea Scamarcio è affiatata e si integra e completa alla perfezione rendendo credibili i personaggi e il loro complesso rapporto, anche se non soprattutto in senso fisico; sia perché la Golino ha un tocco incredibilmente lieve e poco invadente e riesce a non scadere mai nel patetico e al contempo a trattare in modo ironico alcuni dei luoghi comuni di cui parlavo in apertura: l'idea della protesi ai polpacci che Matteo si fa inserire dal chirurgo estetico è, ad esempio, geniale. Ben disegnati anche i personaggi di contorno e all'altezza i rispettivi interpreti. Come regista, Valeria Golino si conferma capace di amalgamare in un insieme che funziona diversi ingredienti che rendono le sue pellicole mai banali, intelligenti e capaci di affrontare temi scomodi con un tocco leggero e originale; all'altezza e non scontata anche la colonna sonora, e non p un dettaglio da poco in un film italiano.
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