domenica 8 aprile 2018

Contromano

"Contromano" di Antonio Albanese. Con Antonio Albanese, Alex Fondja, Aude Legastelois, Daniela Piperno, David Anzalone e altri. Italia 2018 ★★+
Voglio bene ad Antonio Albanese, che è una persona a modo, intelligente e sensibile prima ancora che un comico di razza e un grande attore, quando gli viene data l'opportunità, e lo vedo all'opera sempre volentieri, ma questo suo quarto lavoro da regista funziona soltanto a sprazzi, per alcune intuizioni felici, soprattutto all'inizio, ma che non vengono sviluppate e portate fino in fondo con convinzione e conseguentemente. Mario Cavallaro è il titolare di un prestigioso negozio di calze, cravatte e accessori maschili nel centro di Milano ereditato dal padre, ed è un uomo di mezza età metodico, ordinato quasi fino alla maniacalità, e che nell'abitudinarietà trova una sicurezza che, nella sua solitudine, non ha. Ad alleviarla, il rapporto di mutua assistenza con una matura vicina di casa e la sua vera passione: la cura di un orto, definito divino dalla sua amica, che si è costruito sulla terrazza del condominio in cui abita (tra Via Larga e Largo Richini a Milano, e non credo di sbagliare, mentre il negozio si trova nei pressi dell'Arco della Pace). Quindi qualsiasi cambiamento lo indispone, a cominciare dalla vendita del bar sottocasa che frequenta da trent'anni "all'egiziano del kebap", dai venditori di ombrelli maghrebini e pakistani, di fiori cingalesi, per non parlare del senegalese Oba che gli si è piazzato proprio davanti al negozio smerciando calze scarsa qualità e che scambia filo di Scozia con filo di Svezia, peraltro con permesso di soggiorno scaduto e pure piuttosto stronzo. Elabora così un piano per addormentarlo, rapirlo e riportarlo a casa sua: "ché se tutti facessero così, un po' di turismo umanitario, il problema sarebbe risolto". Fin qui tutto bene, ma poi il film si incaglia, non tanto e non solo per l'improbabilità delle situazioni ma perché si innesta una parte sentimentale che è poco congruente: Oba infatti riesce a liberarsi, colpendo Mario lo fa svenire e, disperato, lo porta nella casa in cui la sua fidanzata Dalida, che fa passare per sorella, accudisce lo handicappato e carogna David Anzalone (per quanto incongruente nell'economia del racconto, un lampo di cattivismo). Quando Mario si risveglia, si invaghisce immediatamente di questa fata, che gli racconta che è morto il padre e così il nostro si offre di portare entrambi con la sua Panda fino in Senegal, passando per Tangeri e il Marocco, quasi in una rivisitazione di Tournée trent'anni dopo. Mario tiene botta anche quando scopre l'inganno, perché in realtà Dalida ci tiene a tornare in patria per sposarsi con Oba. Il finale vede un capovolgimento di ruoli, con Dalida che diventa una classica sciura milanese, Oba un commerciante, il figlioletto della coppia, nonché figlioccio di Mario che da questi ha preso la puntigliosità e il senso dell'ordine mentre  il Nostro che li aiuta a casa loro insegnando agli indigeni a coltivare come si deve e sviluppando al contempo in grande la sua passione per l'orticultura. Insomma troppa roba al fuoco e scombinata: funziona come sempre la maschera un po' surreale di Albanese/Mario, a cui non ci si può non affezionare, e regge quando emerge la giusta cattiveria, e anche quando non nega, come fanno i paladini dell'accoglienza a oltranza, il conflitto, quindi a maggior ragione sconcerta la caduta nel buonismo, per quanto venato di ironia, e nel "siamo tutti fratelli". Insomma, certamente mi aspettavo qualcosa di più.

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