"Ready Player One" di Steven Spielberg. Con Tye Sheridan, Olivia Cooke, Ben Mendelsohn, T. J. Miller, Simon Pegg, Mark Rylance e altri. USA 2018 ★★★½
L'ultimo, atteso film di Spielberg, quasi un omaggio al suo cognome (nomen omen: in tedesco Spiel significa gioco), uscito a poca distanza dal potente The Post, rappresenta alla perfezione il prolifico e poliedrico regista, nei suoi grandi pregi come geniale uomo di spettacolo, arte di cui domina alla perfezione i meccanismi, e potenziali difetti, come il citazionismo e il sostanziale infantilismo, ma sta proprio nella sua insaziabile curiosità da eterno bambino e di sperimentatore, nuovamente, il suo punto di forza e il motivo per cui riesce a portare al cinema e ad affascinare, con una pellicola sui videogiochi di ruolo, anche chi ne è estraneo. Perché di un viaggio nel puro intrattenimento si tratta, con particolare riferimento agli anni Ottanta in cui presero piede i primi giochi di simulazione, con una premessa, se vogliamo, "politica": siamo nel 2045 a Columbus, capitale dell'Ohio, dove un'umanità derelitta vive nelle "cataste", ossia container impilati uno sull'altro, e la vita reale si è fatta così insopportabile e senza prospettive che tutti si dedicano costantemente a viverne un'altra, virtuale, costantemente connessi, attraverso degli avatar. Tra questi il giovane Wade Watts, rimasto orfano di genitori che non sono stati capaci di adeguarsi dopo l'ultima crisi che ha attraversato il pianeta, grande appassionato di Oasis, il gioco creato dal geniale e stralunato James Haliday che, prima di morire, vi ha depositato "un uovo di Pasqua", ossia nascosto un livello segreto, accedendo al quale si possono cercare e trovare tre chiavi, conquistate le quali il vincitore assumerà definitivamente il controllo di Oasis ereditando la compagnia da lui fondata. I "cacciatori" possono correre singolarmente ma in genere si associano in clan, ma non sembrano avere chance contro un avversario come la 101, una multinazionale dei media che può mettere in campo migliaia di giocatori guidati da informatici ed esperti, presieduta dall'avido e cinico Nolan Sorrento. Wade/Percival si associa con altri quattro avatar con cui entrerà in contatto anche nel mondo vero: Samantha/Artemisia (con cui è amore a prima vista, virtuale così come reale), una informatica di colore esperta in marchingegni meccanici, due giapponesi, uno dei quali un genietto undicenne. I due piani si confondono, ma il paradosso è che occorrerà vincere la sfida e ribellarsi nel mondo virtuale, ossia nell'universo di Oasis, perché rimanga in vita una vaga possibilità di cambiamento in quello reale: nel film Spielberg si limita a prefigurare una vita borghese in cui la coppia Wade/Samantha gode del benessere materiale conquistato: una casa confortevole e bene arredata, senza essere costretta a essere connessa a Oasis tutto il giorno e Nolan Sorrento e la sua factotum alle prese con la giustizia per le loro malefatte, ma si ignora cosa possa essere accaduto alle altre centinaia di milioni di partecipanti al gioco. In sostanza: i due e i loro soci hanno estratto i numeri vincenti della lotteria americana della felicità: mettendocela tutta ce l'hanno fatta e hanno conquistato il "diritto" di godersela; per tutti gli altri partecipanti, vale il detto decoubertiniano che "è stato bello partecipare" e chi si è visto si è visto. Insomma , gratta gratta la solita storia dell'American Way of Life e del self-made-man (o woman, e pure gialli e neri, già che ci siamo ché siano politically correct, e Spielberg per primo). Il tutto con una colonna sonora che più anni Ottanta non si può, gradevolmente disimpegnata. Come detto, pregi e difetti dell'uomo: un fenomeno dell'intrattenimento, ma pur sempre un americano in tutto e per tutto. E un eterno bambino.
L'ultimo, atteso film di Spielberg, quasi un omaggio al suo cognome (nomen omen: in tedesco Spiel significa gioco), uscito a poca distanza dal potente The Post, rappresenta alla perfezione il prolifico e poliedrico regista, nei suoi grandi pregi come geniale uomo di spettacolo, arte di cui domina alla perfezione i meccanismi, e potenziali difetti, come il citazionismo e il sostanziale infantilismo, ma sta proprio nella sua insaziabile curiosità da eterno bambino e di sperimentatore, nuovamente, il suo punto di forza e il motivo per cui riesce a portare al cinema e ad affascinare, con una pellicola sui videogiochi di ruolo, anche chi ne è estraneo. Perché di un viaggio nel puro intrattenimento si tratta, con particolare riferimento agli anni Ottanta in cui presero piede i primi giochi di simulazione, con una premessa, se vogliamo, "politica": siamo nel 2045 a Columbus, capitale dell'Ohio, dove un'umanità derelitta vive nelle "cataste", ossia container impilati uno sull'altro, e la vita reale si è fatta così insopportabile e senza prospettive che tutti si dedicano costantemente a viverne un'altra, virtuale, costantemente connessi, attraverso degli avatar. Tra questi il giovane Wade Watts, rimasto orfano di genitori che non sono stati capaci di adeguarsi dopo l'ultima crisi che ha attraversato il pianeta, grande appassionato di Oasis, il gioco creato dal geniale e stralunato James Haliday che, prima di morire, vi ha depositato "un uovo di Pasqua", ossia nascosto un livello segreto, accedendo al quale si possono cercare e trovare tre chiavi, conquistate le quali il vincitore assumerà definitivamente il controllo di Oasis ereditando la compagnia da lui fondata. I "cacciatori" possono correre singolarmente ma in genere si associano in clan, ma non sembrano avere chance contro un avversario come la 101, una multinazionale dei media che può mettere in campo migliaia di giocatori guidati da informatici ed esperti, presieduta dall'avido e cinico Nolan Sorrento. Wade/Percival si associa con altri quattro avatar con cui entrerà in contatto anche nel mondo vero: Samantha/Artemisia (con cui è amore a prima vista, virtuale così come reale), una informatica di colore esperta in marchingegni meccanici, due giapponesi, uno dei quali un genietto undicenne. I due piani si confondono, ma il paradosso è che occorrerà vincere la sfida e ribellarsi nel mondo virtuale, ossia nell'universo di Oasis, perché rimanga in vita una vaga possibilità di cambiamento in quello reale: nel film Spielberg si limita a prefigurare una vita borghese in cui la coppia Wade/Samantha gode del benessere materiale conquistato: una casa confortevole e bene arredata, senza essere costretta a essere connessa a Oasis tutto il giorno e Nolan Sorrento e la sua factotum alle prese con la giustizia per le loro malefatte, ma si ignora cosa possa essere accaduto alle altre centinaia di milioni di partecipanti al gioco. In sostanza: i due e i loro soci hanno estratto i numeri vincenti della lotteria americana della felicità: mettendocela tutta ce l'hanno fatta e hanno conquistato il "diritto" di godersela; per tutti gli altri partecipanti, vale il detto decoubertiniano che "è stato bello partecipare" e chi si è visto si è visto. Insomma , gratta gratta la solita storia dell'American Way of Life e del self-made-man (o woman, e pure gialli e neri, già che ci siamo ché siano politically correct, e Spielberg per primo). Il tutto con una colonna sonora che più anni Ottanta non si può, gradevolmente disimpegnata. Come detto, pregi e difetti dell'uomo: un fenomeno dell'intrattenimento, ma pur sempre un americano in tutto e per tutto. E un eterno bambino.
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