"Un giorno devi andare" di Giorgio Diritti. Con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Engleberth, Sonia Gessner, Amanda Fonseca Galvão e altri. Italia, Francia 2013 ★★★½
Augusta, trentenne traumatizzata per la perdita del figlio che portava in grembo e abbandonata dal marito a causa della sopraggiunta sterilità, per rimettere insieme i cocci della sua esistenza e riflettere sul senso della propria vita lascia il natìo Trentino e parte alla volta del Brasile assieme a suor Franca, un'amica della madre, missionaria fra le tribù indie del bacino del Rio delle Amazzoni. Un'opera di evangelizzazione a base di santini e paccottiglia che fa venire in mente le perline di vetro con cui i primi europei sbarcati nelle Americhe turlupinavano gli indigeni che non le conoscevano, imponendo loro credenze e rituali che, non facendo parte della loro esperienza di vita, non riescono a comprendere e a cui Augusta non può aderire. Decide quindi di "farsi terra" e agire per conto suo andando a vivere e a dare una mano nelle favelas di Manaus, capitale dello Stato di Amazonas, dove il contrasto tra la povertà estrema delle periferie e il rutilante ma vuoto mondo del centro globalizzato della città è estremo. Perché nelle favelas un senso di comunità rimane, benché minacciata dalla "modernità risanatrice" e pure se l'umanità che vi sopravvive, spesso con mezzi illeciti, non è esattamente esempio di virtù. Anche se Diritti ogni tanto sembra scivolare nella retorica della comunità e della virtuosità della povertà ha il pregio di non giudicare e di lasciare intravedere anche gli aspetti della carità pelosa, per quanto in buona fede, e sostanzialmente fredda e autoreferenziale delle strutture ecclesiastiche e delle persone che vi ruotano intorno: lo fa specialmente quando, a contrasto, salta dalle immagini fluviali dell'Amazzonia (peraltro bellissime: la fotografia è di altissimo livello) a quelle del mondo valligiano e del convento frequentato dalla madre di Augusta e da cui proviene suor Franca. In definitiva la storia è quella del viaggio alla ricerca di sé stessa da parte del personaggio principale, la giovane donna interpretata da una brava e credibile Jasmine Trinca, capace di esprimere con pacata intensità pensieri, insicurezze, disagi e perplessità anche e soprattutto attraverso i suoi silenzi e il modo di muoversi e interagire, e lasciando perfino trasparire i dubbi che lei stessa nutre sul rischio di confondere la ricerca di una via di fuga con un solidarismo artificiale, in questo dicendo di più lei con il "non detto" di quanto faccia lo stesso regista con la sua equidistanza. Film un po' lento ma, lasciato opportunamente sedimentare per un paio di giorni, senz'altro pregevole.
Augusta, trentenne traumatizzata per la perdita del figlio che portava in grembo e abbandonata dal marito a causa della sopraggiunta sterilità, per rimettere insieme i cocci della sua esistenza e riflettere sul senso della propria vita lascia il natìo Trentino e parte alla volta del Brasile assieme a suor Franca, un'amica della madre, missionaria fra le tribù indie del bacino del Rio delle Amazzoni. Un'opera di evangelizzazione a base di santini e paccottiglia che fa venire in mente le perline di vetro con cui i primi europei sbarcati nelle Americhe turlupinavano gli indigeni che non le conoscevano, imponendo loro credenze e rituali che, non facendo parte della loro esperienza di vita, non riescono a comprendere e a cui Augusta non può aderire. Decide quindi di "farsi terra" e agire per conto suo andando a vivere e a dare una mano nelle favelas di Manaus, capitale dello Stato di Amazonas, dove il contrasto tra la povertà estrema delle periferie e il rutilante ma vuoto mondo del centro globalizzato della città è estremo. Perché nelle favelas un senso di comunità rimane, benché minacciata dalla "modernità risanatrice" e pure se l'umanità che vi sopravvive, spesso con mezzi illeciti, non è esattamente esempio di virtù. Anche se Diritti ogni tanto sembra scivolare nella retorica della comunità e della virtuosità della povertà ha il pregio di non giudicare e di lasciare intravedere anche gli aspetti della carità pelosa, per quanto in buona fede, e sostanzialmente fredda e autoreferenziale delle strutture ecclesiastiche e delle persone che vi ruotano intorno: lo fa specialmente quando, a contrasto, salta dalle immagini fluviali dell'Amazzonia (peraltro bellissime: la fotografia è di altissimo livello) a quelle del mondo valligiano e del convento frequentato dalla madre di Augusta e da cui proviene suor Franca. In definitiva la storia è quella del viaggio alla ricerca di sé stessa da parte del personaggio principale, la giovane donna interpretata da una brava e credibile Jasmine Trinca, capace di esprimere con pacata intensità pensieri, insicurezze, disagi e perplessità anche e soprattutto attraverso i suoi silenzi e il modo di muoversi e interagire, e lasciando perfino trasparire i dubbi che lei stessa nutre sul rischio di confondere la ricerca di una via di fuga con un solidarismo artificiale, in questo dicendo di più lei con il "non detto" di quanto faccia lo stesso regista con la sua equidistanza. Film un po' lento ma, lasciato opportunamente sedimentare per un paio di giorni, senz'altro pregevole.
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