"Le rane" di Aristofane. Interpretato e diretto da Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Gigi Dall'Aglio, Luca Nucera, Tania Rocchetta, Marcello Vazzoler. Scene di Alberto Favretto, costumi di Marzia Paparini, musiche di Alessandro Nidi, luci di Luca Bronzo. Produzione Fondazione Teatro Due. Al Teatro Elfo/Puccini di Milano fino al 24 marzo
E' fresca, spassosa, sagace la rappresentazione della commedia di Aristofane da parte del nucleo storico della compagnia parmense, in realtà assai fedele nel testo originale a quella proposta ad Atene nel 405 A.C.: i riferimento all'attualità nostrana (e non solo) dimostrano ancora una volta quanto le dinamiche umane, in particolare quelle tra potere e cultura, e il rapporto diretto tra il decadimento di quest'ultima e quello della civiltà che la esprime sia stretto. Atene è in piena crisi e Dioniso, dio del teatro, insieme al servo Xantia, intraprende un surreale viaggio nell'Ade per riportare alla vita Euripide, scomparso di recente, perché i giovani tragediografi che sono venuti dopo di lui non sono all'altezza e non riescono a impedire il decadimento del teatro. Dopo una serie di peripezie tra cui la traversata della palude dell'Acheronte e l'incontro con le rane, che pur non riconoscendo Dioniso intonano un gracidante inno alla poesia e in onore della sua divinità (qui un brekekekex koax koax in stile Trio Lescano) trovano finalmente Euripide in piena lite con Eschilo per stabilire chi dei due sia il migliore. Parte una singolar tenzone a colpi di versi che vengono "pesati" in base alla loro levità e sottoposti anche a un referendum tra il pubblico, che viene però reso inutile perché lo spettacolo si chiude con un inno generalizzato alla poesia di tutti i tempi e, in definitiva alla cultura. Visto che nella situazione attuale gli intellettuali sono divenuti afasici, anche se non si possono riportare in vita, si possono comunque rileggere quelli che li hanno preceduti: un nome che li riassume tutti può essere quelli di Pasolini.
Pubblico divertito, corroborato, applausi scroscianti e convinti: bravissimi tutti. Da non perdere, avendo la possibilità di vedere lo spettacolo.
E' fresca, spassosa, sagace la rappresentazione della commedia di Aristofane da parte del nucleo storico della compagnia parmense, in realtà assai fedele nel testo originale a quella proposta ad Atene nel 405 A.C.: i riferimento all'attualità nostrana (e non solo) dimostrano ancora una volta quanto le dinamiche umane, in particolare quelle tra potere e cultura, e il rapporto diretto tra il decadimento di quest'ultima e quello della civiltà che la esprime sia stretto. Atene è in piena crisi e Dioniso, dio del teatro, insieme al servo Xantia, intraprende un surreale viaggio nell'Ade per riportare alla vita Euripide, scomparso di recente, perché i giovani tragediografi che sono venuti dopo di lui non sono all'altezza e non riescono a impedire il decadimento del teatro. Dopo una serie di peripezie tra cui la traversata della palude dell'Acheronte e l'incontro con le rane, che pur non riconoscendo Dioniso intonano un gracidante inno alla poesia e in onore della sua divinità (qui un brekekekex koax koax in stile Trio Lescano) trovano finalmente Euripide in piena lite con Eschilo per stabilire chi dei due sia il migliore. Parte una singolar tenzone a colpi di versi che vengono "pesati" in base alla loro levità e sottoposti anche a un referendum tra il pubblico, che viene però reso inutile perché lo spettacolo si chiude con un inno generalizzato alla poesia di tutti i tempi e, in definitiva alla cultura. Visto che nella situazione attuale gli intellettuali sono divenuti afasici, anche se non si possono riportare in vita, si possono comunque rileggere quelli che li hanno preceduti: un nome che li riassume tutti può essere quelli di Pasolini.
Pubblico divertito, corroborato, applausi scroscianti e convinti: bravissimi tutti. Da non perdere, avendo la possibilità di vedere lo spettacolo.
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