"La cuoca del Presidente" (Les saveurs du Palais") di Christian Vincent. Con Catherine Frot, Jean d'Ormesson, Hyppolite Girardot, Arthur Dupont, Jean-Marc Roulot e atri. Francia 2012 ★★½
Film liberamente ispirato alla biografia di Danièle Depeuch, che fu per alcuni anni, dal 1986, cuoca personale di François Mitterrand all'Eliseo, scorre via innocuo, tra arguzie, strizzate d'occhio autoindulgenti su quella strana forma di monarchia che è la presidenza della Repubblica francese, sottolineatura della propria Grandeur Gastronomique e un eccesso di verbosità tipico del cinema transalpino. Racconta la storia di Hortense Laborie, cuoca eccelsa e fattoressa nel Périgord, paradiso di una cucina dai sapori autentici, chiamata a sorpresa a Parigi per soddisfare i desideri personali di Monseiur Le Président, una donna decisa, dal carattere piuttosto aspro, abituata a fare a modo suo e approvvigionarsi di persona da fornitori di fiducia, che finisce presto per inimicarsi, anche a causa del rapporto privilegiato col presidente, l'establishment cuciniero ossia gli chef ufficiali dell'Eliseo e l'infinita schiera dei loro aiutanti (mentre a lei ne basta uno solo, Nicolas, che funge anche da pasticciere), sostenuti da una parte dello staff presidenziale che usa la burocrazia e il pretesto dell'attenzione ai conti per metterle i bastoni tra le ruote e dall'altra dai dietologi del Grand'Uomo, impersonato dal noto giornalista, scrittore nonché commis di Stato Jean d'Ormesson in persona, ansiosi di metterlo a stecchetto. Hortensie, trascorsi poco più di di due anni di servizio, preferisce andarsene e accettare per un anno un ingaggio presso una base scientifica sulle Isole Crozet, situate nel Mare Antartico, per accumulare denaro abbastanza da investire in terreni in Nuova Zelanda, terra pressoché vergine dove ha scovato una zona adatta per impiantarvi una tartufaia. E' in occasione dell'ultima cena che prepara agli operai e tecnici della base che Hortensie si lascia andare ai ricordi parigini, rievocandoli senza trionfalismi in un susseguirsi di flash-back e ricorda, in un'armosfera di amicizia come quella che si instaura tra esuli in capo al mondo, il rapporto che ebbe con l'illustre inquilino dell'Eliseo. Ovviamente invoglianti e di per sé gustose le descrizioni delle ricette, raccontate sempre a voce e la cui preparazione nonché gli esiti sono filmati con dovizia di particolari: mancano soltanto gli odori. La domanda che sorge però spontanea è come mai questa donna, così vocata alla cucina strettamente d'antán e di territorio, abbia preferito poi allontanarsi dalla sua fattoria nel cuore gastronomico della Francia per imbucarsi nelle cucine di Palazzo e poi in giro per il mondo, perfino in una sorta di mensa aziendale nei pressi dell'Antartico. Ossia: da una parte sembra la celebrazione di un epigono di José Bové (o Carlin Petrini) in gonnella, dall'altra quella del tartufo globailzzato. C'è qualcosa che non mi torna, e non da oggi, nella Grande Cuisine dei cugini d'oltralpe. Così come nella cinematografia. Però la pellicola si fa vedere, se non si hanno grandi aspettative.
Film liberamente ispirato alla biografia di Danièle Depeuch, che fu per alcuni anni, dal 1986, cuoca personale di François Mitterrand all'Eliseo, scorre via innocuo, tra arguzie, strizzate d'occhio autoindulgenti su quella strana forma di monarchia che è la presidenza della Repubblica francese, sottolineatura della propria Grandeur Gastronomique e un eccesso di verbosità tipico del cinema transalpino. Racconta la storia di Hortense Laborie, cuoca eccelsa e fattoressa nel Périgord, paradiso di una cucina dai sapori autentici, chiamata a sorpresa a Parigi per soddisfare i desideri personali di Monseiur Le Président, una donna decisa, dal carattere piuttosto aspro, abituata a fare a modo suo e approvvigionarsi di persona da fornitori di fiducia, che finisce presto per inimicarsi, anche a causa del rapporto privilegiato col presidente, l'establishment cuciniero ossia gli chef ufficiali dell'Eliseo e l'infinita schiera dei loro aiutanti (mentre a lei ne basta uno solo, Nicolas, che funge anche da pasticciere), sostenuti da una parte dello staff presidenziale che usa la burocrazia e il pretesto dell'attenzione ai conti per metterle i bastoni tra le ruote e dall'altra dai dietologi del Grand'Uomo, impersonato dal noto giornalista, scrittore nonché commis di Stato Jean d'Ormesson in persona, ansiosi di metterlo a stecchetto. Hortensie, trascorsi poco più di di due anni di servizio, preferisce andarsene e accettare per un anno un ingaggio presso una base scientifica sulle Isole Crozet, situate nel Mare Antartico, per accumulare denaro abbastanza da investire in terreni in Nuova Zelanda, terra pressoché vergine dove ha scovato una zona adatta per impiantarvi una tartufaia. E' in occasione dell'ultima cena che prepara agli operai e tecnici della base che Hortensie si lascia andare ai ricordi parigini, rievocandoli senza trionfalismi in un susseguirsi di flash-back e ricorda, in un'armosfera di amicizia come quella che si instaura tra esuli in capo al mondo, il rapporto che ebbe con l'illustre inquilino dell'Eliseo. Ovviamente invoglianti e di per sé gustose le descrizioni delle ricette, raccontate sempre a voce e la cui preparazione nonché gli esiti sono filmati con dovizia di particolari: mancano soltanto gli odori. La domanda che sorge però spontanea è come mai questa donna, così vocata alla cucina strettamente d'antán e di territorio, abbia preferito poi allontanarsi dalla sua fattoria nel cuore gastronomico della Francia per imbucarsi nelle cucine di Palazzo e poi in giro per il mondo, perfino in una sorta di mensa aziendale nei pressi dell'Antartico. Ossia: da una parte sembra la celebrazione di un epigono di José Bové (o Carlin Petrini) in gonnella, dall'altra quella del tartufo globailzzato. C'è qualcosa che non mi torna, e non da oggi, nella Grande Cuisine dei cugini d'oltralpe. Così come nella cinematografia. Però la pellicola si fa vedere, se non si hanno grandi aspettative.
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