"Il dittatore" (The Dictator) di Larry Charles. Con Sacha Baron Cohen, Anna Faris, Ben Kingsley, Jason Mantzoukas, Megan Fox. USA 2012 ★★★★★
Recupero solo ora, con colpevole ritardo, questa chicca uscita nel giugno scorso, mai abbastanza apprezzata in un Paese buonista e ipocrita come il nostro. A mio parere di gran lunga il migliore dei tre film girati dal duo Baron Cohen-Charles: i precedenti erano i pur pregevoli e caustici Borat e Brüno. Il dio (della comicità satirica) li fa e poi li accoppia: inglese (ben educato e colto) l'attore, newyorkese il regista (un tipo molto defilato), entrambi ebrei. Ma corrosivi, scurrili, politicamente, religiosamente e "genderly" scorretti, ne hanno per tutti, senza distinzioni, sbertucciando potenti, imbecilli e fanatici di ogni genere, rivoltandogli contro i luoghi comuni dominanti di cui la pseudo-cultura massmediatica si pasce rincoglionendo sistematicamente l'inclito pubblico. Qui Baron Cohen è nei panni di Haffaz Aladeen, dittatore di Wadiya, Stato ricco di petrolio situato dalle parti del Corno d'Africa (e non del Nord come è stato propalato, malintendendo che si trattasse della Libia): un incrocio tra Gheddafi, Saddam Hussein, Bin Laden, Ahmadinejad e Assad, puerile, egocentrico, ignorante, sanguinario, orgogliosamente idiota, che vola a New York per perorare la causa della sua (e di ogni altra) dittatura all'ONU dopo che questa lo aveva invitato a dimettersi. Una volta nella Grande Mela è vittima di una congiura di palazzo per cui viene sostituito da un sosia, un pastore di capre ancora più becero e cretino di lui, al quale i suoi rivali, che lo manovrano, vogliono far firmare la prima carta costituzionale di Wadiya davanti agli esponenti del mondo sedicente democratico. Aladeen, rimasto senza barba (uguale a quella di Bin Laden) e letteralmente in mutande a vagare tra Brooklyn e Manhattan, finisce per impiegarsi in un negozio di alimenti biologici e naturali gestito da una femminista vegana dura e pura con ascelle particolarmente cespugliose di cui finisce per invaghirsi e lei di lui. Riuscirà a sventare la firma della costituzione da parte dell'impostore, convincerà con un discorso magistrale i democratici yankee della bontà della dittatura usando tutte, dalla prima all'ultima, le argomentazioni usate dai governi USA per scatenare guerre a destra e a manca allo scopo di "esportare la democrazia" e "combattere il terrorismo", demolisce con una serie di battute fulminanti perfino la sacralità dell'11 Settembre e finisce per fare un ritorno trionfale a Wadiya insieme alla sposa americana che, durante uno special su una pseudo CNN, rivelerà si essere ebrea e incinta. "Sarà un maschio o un aborto"? gli chiede il prossimo padre Aladeen, e su questa battuta agghiacciante e definitiva calano i titoli di coda e rimaniamo fiduciosamente in attesa del prossimo appuntamento con i due campioni del demenziale duro di oggi. Grandioso. Da rivedere quando si è di umore inverso e non se ne può più di sentire scemenze.
Recupero solo ora, con colpevole ritardo, questa chicca uscita nel giugno scorso, mai abbastanza apprezzata in un Paese buonista e ipocrita come il nostro. A mio parere di gran lunga il migliore dei tre film girati dal duo Baron Cohen-Charles: i precedenti erano i pur pregevoli e caustici Borat e Brüno. Il dio (della comicità satirica) li fa e poi li accoppia: inglese (ben educato e colto) l'attore, newyorkese il regista (un tipo molto defilato), entrambi ebrei. Ma corrosivi, scurrili, politicamente, religiosamente e "genderly" scorretti, ne hanno per tutti, senza distinzioni, sbertucciando potenti, imbecilli e fanatici di ogni genere, rivoltandogli contro i luoghi comuni dominanti di cui la pseudo-cultura massmediatica si pasce rincoglionendo sistematicamente l'inclito pubblico. Qui Baron Cohen è nei panni di Haffaz Aladeen, dittatore di Wadiya, Stato ricco di petrolio situato dalle parti del Corno d'Africa (e non del Nord come è stato propalato, malintendendo che si trattasse della Libia): un incrocio tra Gheddafi, Saddam Hussein, Bin Laden, Ahmadinejad e Assad, puerile, egocentrico, ignorante, sanguinario, orgogliosamente idiota, che vola a New York per perorare la causa della sua (e di ogni altra) dittatura all'ONU dopo che questa lo aveva invitato a dimettersi. Una volta nella Grande Mela è vittima di una congiura di palazzo per cui viene sostituito da un sosia, un pastore di capre ancora più becero e cretino di lui, al quale i suoi rivali, che lo manovrano, vogliono far firmare la prima carta costituzionale di Wadiya davanti agli esponenti del mondo sedicente democratico. Aladeen, rimasto senza barba (uguale a quella di Bin Laden) e letteralmente in mutande a vagare tra Brooklyn e Manhattan, finisce per impiegarsi in un negozio di alimenti biologici e naturali gestito da una femminista vegana dura e pura con ascelle particolarmente cespugliose di cui finisce per invaghirsi e lei di lui. Riuscirà a sventare la firma della costituzione da parte dell'impostore, convincerà con un discorso magistrale i democratici yankee della bontà della dittatura usando tutte, dalla prima all'ultima, le argomentazioni usate dai governi USA per scatenare guerre a destra e a manca allo scopo di "esportare la democrazia" e "combattere il terrorismo", demolisce con una serie di battute fulminanti perfino la sacralità dell'11 Settembre e finisce per fare un ritorno trionfale a Wadiya insieme alla sposa americana che, durante uno special su una pseudo CNN, rivelerà si essere ebrea e incinta. "Sarà un maschio o un aborto"? gli chiede il prossimo padre Aladeen, e su questa battuta agghiacciante e definitiva calano i titoli di coda e rimaniamo fiduciosamente in attesa del prossimo appuntamento con i due campioni del demenziale duro di oggi. Grandioso. Da rivedere quando si è di umore inverso e non se ne può più di sentire scemenze.
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