mercoledì 14 gennaio 2009

Monas e Petronas


Monas by TimKUALA LUMPUR – La differenza tra Jakarta e Kuala Lumpur è la stessa che passa fra quelli che le due capitali hanno scelto come i simboli proprio e del Paese di cui sono a capo: il Monas di Sukarno (e per un orecchio italiano del NordEst il suono è per così dire onomatopeutico: nomen omen) e le Petronas Twin Towers. Per quanto riguarda il Monas rimando a quanto scritto qualche giorno fa: un'opera megalomane, pateticamente senile, velleitaria, squallida e pure brutta a vedersi. Al contrario, le due torri gemelle rivestite d'acciaio (300 mila tonnellate), alte 452 metri per 88 piani sono un capolavoro dell'ingegneria, da quella statica e delle costruzioni a quella delle comunicazioni, un'opera d'arte: potenti, slanciate ma allo stesso tempo lievi, un compendio della tecnologia più avanzata in tutti i loro aspetti e valgono da sole una visita alla capitale della Malaysia. Vi si può salire fino alla Skybridge, che collega le due torri al 41piano e all'altezza di 170 metri, un ponte sospeso ancorato su delle eleganti giunture (dal basso sembra di vedere due semiassi di automobili che fanno perno su degli enormi cuscinetti a sfera) per potersi flettere durante le oscillazioni delle torri dovute ai venti o a possibili terremoti. Da fantascienza il sistema per neutralizzare i fulmini, che si scaricano di preferenza qui, dato che le Towers sono il punto più alto nel centro della città. Esempio di architettura olistica – e sono circondate da un vasto parco ricco di laghetti – anche l'impianto di condizionamento dell'aria è studiato in modo da essere ecologicamente compatibile, mi fa piacere ricordare che sono state Petronas Twin Towers by atomicSherdprogettate dall'architetto argentino di origine italiana Cesar Pelli, e che l'ispirazione alla tradizione islamica è voluta e ben visibile. La pianta del pian terreno delle torri, ad esempio, è una stella ad otto punte che oltre a sembrare un arabesco è un evidente richiamo simbolico, così come i cinque ordini di ciascuna torre (i cinque pilastri dell'Islam), i 63 pennoni disposti a corona che ricordano i minareti e i due più alti, con alla base una sfera. Le Towers sono il quartier generale della Petronas, la potente compagnia petrolifera e del gas nazionale. Nata solamente nel 1974, anche se il petrolio fu scoperto quasi un secolo prima dal Residente britannico nel Sarawak, la Petronas, una delle principali realtà economiche della Malaysia, è di proprietà del governo, risponde direttamente al primo ministro e ha l'esclusiva dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi e di gas naturale dell'intero Paese (situati soprattutto nel Borneo settentrionale e lungo le coste del Terangganu) e ricorda la Petrobras brasiliana, anch'essa costruita sul modello del nostro ENI, del compianto Enrico Mattei (il suo imprinting architettonico è Metanopoli, San Donato, alle porte di Milano: altri tempi, ma dai risultati tutt'altro che spregevoli, vista la miseria che ne è seguita, con il Ligresti-Style). I simboli sono estrememente significativi, ed esprimono il modo in cui un Paese vede sé stesso oppure una dichiarazione di intenti: il Monas è a un tempo un monumento al solipsismo di chi lo ha governato in passato e lo governa tutt'ora e il desiderio di un'unità nazionale mai davvero avvenuta; le Petronas Towers sono la testimonianza del livello raggiunto dalla Malaysia sulla strada di una modernizzazione fortemente voluta e diretta con mano ferma: il fatto che siano due, involontariamente forse indica le due anime del Paese, quella malese (e islamica) e quella cinese, il vero, inarrestabile motore di progresso, nel bene e nel male, di questa area del mondo. Come risorse, l'Indondesia non possiede nulla meno della Malaysia, anche se la complessità dovuta al fatto di Petronas Towers by cctoessere un arcipelago e di avere una distribuzione fortemente disomogena di una popolazione comunque eccessiva la penalizzano, ma proprio la prospettiva di creare un Paese nuovo per tutti gli indonesiani, al di là delle etnie, sarebbe potuto essere un ottimo propellente e invece, dopo 50 anni dalla rispettiva indipendenza, tra i due Paesi c'è un abisso. Senza prendere come riferimento parametri econometrici discutibili, né modelli di “sviluppo” controversi, è sufficiente confrontare il livello dell'istruzione e gli standard igienici. E' evidente che un Paese è stato governato secondo un progetto e quell'altro no, come si evince dal livello di corruzione, spaventoso in Indonesia: la lotta alla quale è un ritornello risaputo e patetico quanto in Italia quello della lotta alla mafia; e vittima di incontrollabili e ripetute esplosioni di violenza. Corruzione e instabilità trascurabili in Malaysia, e a riprova stanno gli investimenti di capitali stranieri qui e non in Indonesia, dove pure la mano d'opera costa molto meno. Ma non è altrettanto istruita, capace e affidabile. Un'altra cartina di tornasole è l'apertura verso l'esterno: 30 giorni di visto non rinnovabile, a pagamento, in Indonesia; tre mesi, gratis e rinnovabili qui. Se tra Malaysia e Indonesia c'è un balzo di 40 anni in termini di sviluppo, tra Kuala Lumpur e il resto della Malaysia ce ne sono almeno altri dieci: me l'avevano descritta come una città caotica, in cui c'è poco da vedere, climaticamente infelice, ma chi l'ha fatto, evidentemente, non era mai stato a Jakarta. All'aeroporto Sukarno-Hatta, 30 km dalla città, ieri, ci ero arrivato in taxi in impiegandoci un'ora abbondante, guadando strade allagate e attraversando ingorghi deliranti, pur in controtendenza rispetto al traffico in KL Landcapeby Rvihedgeentrata a Jakarta; al Kuala Lumpur International Airport, che come efficienza e modernità batte forse perfino Changi a Singapore, mi è sembrato di essere arrivato in paradiso. Immigrazione e recupero bagagli in 15 minuti; 75 km in treno in trenta minuti per 5 euro (partenza ogni 15': a Milano il Malpensa Express parte ogni mezz'ora, ce ne mette 40' per 37 km e ne costa 18, di euro), e dalla KL Central Station in albergo con taxi a coupon prepagato a prova di abusivi e tuffatori (meno di 2 euro). Complice una giornata ventilata, aria pulita, mi è parso di rivivere. Strade pulite, marciapiedi degni di questo nome, traffico sostenuto ma tranquillo: ci si muove agevolmente; mezzi pubblici di prima qualità; una città quasi interamente cablata, nei progetti governativi capolinea del progetto Multimedia Super Corridor tra la capitale e Putrajaya, la nuova Sylicon Valley malese; un affascinate alternarsi fra memorie coloniali e costruzioni ardite, ma che del passato conservano memoria. Kuala Lumpur non è solo le Petronas Towers, ma anche musei (l'Islamic Arts Museum è considerato il migliore al mondo nel suo genere, e già è un'opera d'arte la sede che lo ospita), gallerie, sale da concerto, giardini e parchi, tanto verde curato con amore. Una città vivibile, che da tempo ha smesso di essere una Cenerentola del Sud Est Asiatico, per diventarne una delle città più gradevoli e meglio organizzate, capace di fare concorrenza anche alla vicina Singapore e a Hong Kong. Una piacevolissima sorpresa.

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