sabato 17 novembre 2007

Ponte di Legno tropical

GRAMADO/CANELA - Siccome le precedenti esperienze latinoamericane in questo senso non mi sono bastate, ho pensato bene di aggiungere al mio carnet di orrori questa località che la "Lonely Planet" definisce un'elegante località montana di villeggiatura e gli indigeni come naturalmente europea. Appurato definitivamente che i curatori della celebre guida (che per altri aspetti si rivela tutt'ora utile e quasi necessaria), per l'edizione dedicata al Brasile, devono essere o degli gli abitanti delle pianure del Midwest nordamericano in preda agli allucinogeni oppure degli australiani strettamente imparentati coi canguri e in crisi mistica, posso perdonare i nativi e i turisti che affollano questo luogo anche dalle nazioni vicine, ma non coloro che hanno messo in piedi questo Circo Barnum, ossia i nostri connazionali, prevalentemente del NordEst, e i tedeschi, che pure una qualche idea di cosa siano le montagne dovrebbero averla avuta, centocinquanta anni fa, quando vennero a colonizzare questi ameni luoghi. Gramado è quanto di più simile si possa immaginare a Ponte di Legno, un prototipo di non-luogo, stazione sciistica e di villeggiatura estiva della Bergamasca partorita da menti perverse negli anni Sessanta in piena furia da speculazione immobiliare, e scelta non a caso dallo stato maggiore leghista come patria d'elezione e simbolo di padanità: il paradiso del geometra. Due ore scarse di bus da Porto Alegre, attraversando su una strada panoramica molto piacevole la celebre Serra Gaúcha, una zona collinare che può tutt'al piú ricordare gli Appennini o la Stiria, già l'arrivo al bus terminal è denso di promesse per il prosieguo della giornata, perché si tratta di una struttura tutta in legno, ispirata probabilmente a un rifugio del C.A.I. d'alta quota. Appena usciti sulla avenida Borges de Madeiros, la strada principale, ecco un autentico mercatino di Natale (perché andare fino a Salisburgo, o a Norimberga, ché fa freddo: venite qui, che almeno si va in giro in braghette e si beve birra ghiacciata invece del vin brulé, e si spende pure meno!) con tanto di casupole di legno dipinte di colori vivaci, neve finta, palloncini, alberelli, decorazioni, candeline e soprattutto Babbi Natale a profusione, di ogni dimensione. E' solo l'inizio, perché il resto è un susseguirsi ininterrotto, lungo un vialone a doppia carreggiata il cui spartitraffico è costituito, indovinate? da alberi di Natale (finti) al posto delle siepi, o da pupazzi di animali vestiti anche loro da Santa Klaus, di negozi, gallerie, centri commerciali, bar. Tra le chicche il magazzino di suovenir Black Forest, che pubblicizza con un enorme orologio a cucú piazzato sul marciapiede una orologeria tedesca specializzata per l'appunto in cucù e carillon, vezzosi chalet sivizzeri, ristoranti che servono fonduta e una quantità di cioccolaterie pseudo artigianali. Naturalmente si vendono maglioni di lana, sciarpe, perfino pellicce e sono sicuro che un'indagine più approfondita mi porterebbe a scovare anche chi propone, tra l'attrezzatura sportiva, un paio di sci o una slitta, trainata magari da un tiro a sei di zebú al posto delle renne. Quasi superfluo dire che in questo centro commerciale all'aperto non c'è una libreria neanche a piangere, e nemmeno mendicanti per le strade. Anche le persone di pelle più scura qui si sono diradate fino a sparire, probabilmente nelle cucine dei ristoranti o nei retrobottega. Eppure questo non  è, almeno tendenzialmente e per queste latitudini, un Paese razzista. Dopo aver visto fioccare anche la neve finta (coriandoli di poliestere o batuffoli di cotone sparati da un cannoncino, per la gioia e la meraviglia dei gitanti di ogni età), e rifiutandomi di devolvere per il pranzo un solo centavo a locali dal nome inquietante quali "Cantina pastasciutta", "Château de la fondue" e "Nonino mio", sono salito su un bus per visitare la vicina Canela, a 8 chilometri di distanza. Che è la versione popolare di Gramado ma dotata, sempre secondo i deliri degli autori della LP, di panorami stupendi sulle vallate circostanti. Probabilmente sono altrettanto stupefacenti certi funghi che hanno mangiato per sbaglio i suoi autori quando hanno perlustrato questi luoghi. Bella, invece, la Cascata do Caracol, nell'omonimo parco nazionale poco distante dalla città. Anche qui i preparativi per le feste natalizie imperversano, ma se non altro ci si limita, più congruamente per questi climi, a figure del presepe, benché dalle dimensioni gigantesche. Questa volta a fiancheggiare la strada principale sono della figure di angeli impagliati e vestiti di sacchi di iuta. In fondo, la improbabile Catedral de Pedra, che sembra costruita con dei Lego color canna di fucile, inesistenti in natura (leghiana). Il cibo della lanchonete (notare l'orrido anglofrancesismo - prezzo fisso, si mangia quanto si vuole, oppure un tanto al chilo: nei Paesi di lingua spagnola si chiama tenedor libre, ossia a forchetta libera) è decente, ma dopo due giorni garantisco che si hanno già a nausea polli, carne alla piastra, patate fritte, farina di manioca e brodaglia di fagioli scuri. L'insalata non c'è verso che la servano tagliata, e non solo qui: bisogna fare da sé. L'olio spacciato per essere d'oliva è in realtà soia quasi pura e ne contiene solo il 15%, quindi se ne fa volentieri a meno. Però il posto è frequentato da persone normali, perfino da neri senza che la gente si volti per strada, e come sempre gestori e camerieri sono simpatici e chiacchieroni, anche se qui in Brasile non è d'uso lasciare la mancia (mãos de vaca, mi hanno spiegato, è il termine locale per il milanese braccino corto). Per finire in bellezza, non poteva mancare nemmeno a Canela il mercatino con gli addobbi per alberello e presepe ma, soprattutto, l'autentica casa di Babbo Natale, in fianco alla quale ne troneggia un esemplare più imponente del David di Michelangelo. Per correttezza, bisogna dire che perlomeno da queste parti il Kitsch ha una sua giustificazione: non sanno di cosa si tratti, in sostanza, e quindi si inventano un Natale tutto loro. Noi siamo anche peggio: non solo importiamo festività fasulle come Halloween impestando vetrine con zucche vuote e candele e inventandoci ricorrenze celtiche mai esistite, ma riusciamo a falsificare anche il vero: un esempio per tutti è Venezia, alla mercé dei bottegai più avidi e spietati esistenti al mondo, dove si è riusciti ancora una trentina d'anni fa a resuscitare un carnevale dimenticato da duecento anni e farlo diventare un fenomeno mediatico e trasformare la città in un tetro smercio di paccottiglia e di baùte sempre piú grottesche. Hoje è sabado, amanhã domingo, salmodiava O Poeta Vinicius de Morães, con la sua voce soporifera. Saravá!

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