lunedì 1 maggio 2023

Il sol dell’avvenire

“Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti. Con Nanni Moretti, Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Mathieu Amalric, Valentina Romani, Teco Celio, Jerzy Stuhr, Elena Lietti e altri. Italia, Francia 2023 ★★★★★

Come già ribadito più volte, in queste mio spazio, ormai dedicato per lo più ad annotazioni cinematografiche, non c'è alcuna concessione all'obiettività: di punti di vista personali e strettamente soggettivi si tratta, compresi i "pregiudizi positivi" che nutro per alcuni autori, tra i quali Nanni Moretti. Chiudevo il mio commento su Tre piani, il suo ultimo, sconcertante film, augurandomi che si fosse trattato di un incidente e pressoché certo che si sarebbe ripreso alla prossima occasione, quando fosse tornato a raccontare una storia sua e non di altri. Con Il sol dell'avvenire ha fatto di meglio e di più: la summa del fior fiore di tutta la sua cinematografia, in particolare quella precedente agli anni Novanta, una sorta di "Moretti definitivo", come la chiusura di un cerchio, con cui il regista fa i conti con tutto quello che ha raccontato nel corso degli anni attraverso i suoi film, in definitiva rivendicandolo, ma in maniera gioiosa, a fronte di un presente sconfortante e da cui ci si sente sconnessi, sforniti dei mezzi per decifrarlo e, se solo fosse possibile, cambiarlo. Sarebbe potuto essere diverso se, per esempio, il Gran Partito non fosse stato guidato nel Dopoguerra da quel personaggio losco, ambiguo, viscido, ipocrita che fu Palmiro Togliatti e, per esempio, avesse sconfessato l'URSS e lo stalinismo almeno dopo i fatti d'Ungheria del 1956, seguendo quanto diceva l'istinto di buona parte dei suoi stessi militanti ed elettori... E' in quell'anno che Giovanni (Moretti) ambienta il film prodotto dalla moglie Paola (Buy) che narra dell'arrivo a Roma del Circo Budavari (e dove poteva sognare  di suicidarsi l'attore che a suo tempo aveva interpretato l'allenatore di pallanuoto in Palombella rossa, Silvio Orlando?) proprio nei giorni dello scoppio della rivolta di Budapest, per una serie di spettacoli organizzati dalla sezione del PCI del Quarticciolo, di cui è segretario Ennio (Orlando), che è anche caporedattore dell'Unità, sposato con Vera (Bobulova, non a caso cecoslovacca di nascita), la quale per prima simpatizza per la causa degli ungheresi che, per protesta, sospendono le rappresentazioni: il classico film nel film caro a Moretti, durante il quale assistiamo alle diatribe  con gli attori sui rispettivi ruoli, alle ossessioni maniacali del regista, ai problemi di finanziamento (il coproduttore francese, interpretato da Amalric, finisce sul lastrico), a quelli personali di Giovanni stesso che scopre non solo che Paola sta andando da uno psichiatra per trovare il coraggio di lasciarlo, ma che sta producendo in contemporanea il film di un giovane regista emergente quanto velleitario (tematica già affrontata nel recente Il ritorno di Casanova Salvatores) specializzato in scene truculente di violenza gratuita; come se non bastasse, deve anche affrontare il fatto che la giovane figlia (Valentina Romani) abbia iniziato una relazione con l'ambasciatore della Polonia, di quarant'anni più vecchio di lei, nella cui residenza viene invitato per una esilarante cena di presentazione, mentre ancora più esilarante sarà l'incontro coi dirigenti di Netflix, alla ricerca di un nuovo finanziatore al posto di quello arrestato. Ma non è tutto, perché sta già ponendo la basi immaginando il suo prossimo lavoro: un film sulla storia quarantennale di una coppia raccontato attraverso le canzoni che ascoltavano, il che dà il destro a Moretti di costellare il racconto con delle chicche scelte accuratamente dal repertorio che più ama e che chiunque l'abbia seguito in tutto il suo percorso conosce benissimo. C'è tutto Moretti, ne Il sol dell'avvenire, a cominciare dalla pungente autoironia e dallo smascheramento dell'ignoranza e della banalità, e anche di più di quello che mi aspettassi, specie sul versante politico: la critica alle ambiguità di quello che fu il PCI e alle responsabilità dei suoi dirigenti sullo stato catatonico della sinistra in Italia è esplicita e impietosa, per quanto espressa in modo beffardo e, se vogliamo, affettuoso, fino alla marcia finale inneggiante a Leon Trotzky di tutto il cast, compresi gli interpreti dei suoi film passati, in una sorta di rifacimento del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo in movimento, guidata da un Moretti sorridente. Probabilmente il miglior Moretti visto dal suo esordio. Divertente ed emozionante. Grazie di cuore, Nanni.

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