venerdì 26 maggio 2023

Ritorno a Seoul

"Ritorno a Seoul" (Rétour à Seoul) di Davy Chou. Con Ji-min Park, Kwang rok-Oh, Guka Han, Kim-Sun Young, Yoann Zimmer, Louis-Do de Lencquesaing, Huor Ouk-Sook, Emeline Briffaud, Lim Cheol-Hyun, Son Seung-beom e altri. Francia, Cambogia, Germania, Belgio, Corea del Sud, Romania, Qatar 2022 ★★★★+

Secondo lavoro per il franco-cambogiano Davy Chou (il primo, Diamond Island, del 2016, non mi risulta essere stato distribuito in Italia) che si avvale di una nutrita coproduzione internazionale per un film, presentato l'anno scorso a Cannes nella sezione Un certain regard, tanto convincente quanto poco banale, che si ispira alla vicenda di una sua amica e non estranea nemmeno a lui stesso e alla bravissima Ji-min Park, attrice non professionista (è una scultrice e video-artista ben quotata) la quale, oltre a intervenire sulla sceneggiatura imponendo alcune correzioni sul suo personaggio al regista, interpreta con stupefacente naturalezza la venticinquenne la parigina di origine coreana Freddie Benoit, adottata da piccolissima da una coppia francese che, a suo dire per una serie di coincidenze (un volo per Tokio cancellato), si trova a passare due settimane di vacanza, che coincidono con il suo compleanno, a Seoul. Non del tutto casualmente, si ha subito l'impressione. Lega immediatamente con Tena, che lavora alla reception della guesthouse dove stabilisce la sua base, con cui riesce a intendersi in francese e inglese, e con lei comincia a entrare a contatto con l'ambiente, le consuetudini e la mentalità coreane, del tutto in contrasto e incomprensibili, come del resto la lingua, con la sua personalità e la sua educazione tipicamente europea e transalpina in particolare: all'apparenza appare spavalda, moderna, sicura di sé, indipendente, lontana anni luce dal formalismo e dalle compassate maniere asiatiche, in realtà la sua disinvoltura, a cominciare dal rapporto con gli uomini (nulla di morboso nelle immagini) appare sempre più una corazza con cui la ragazza protegge la propria insicurezza, cosa che diventerà chiara col procedere del racconto. Dopo qualche giorno, infatti, si mette in contatto con la Hammond, una società che si occupa di adozioni che, essendo in possesso del suo fascicolo, è in grado di metterla in contatto con i suoi genitori biologici: il padre accetterà di vederla, mentre la madre non risponde al telegramma con cui l'ente chiede la disponibilità a un incontro. Con Tana Freddie si reca a Gunsan, dove vive la famiglia del suo genitore, e l'esperienza con suo padre, un alcolizzato vittimista e che insiste nel volerla "recuperare" e farne una coreana, è piuttosto traumatica. Due anni dopo Freddie torna a Seoul anche per motivi di lavoro e sul fronte paterno la musica non è cambiata, nonostante i tentativi dell'uomo di modificare il suo comportamento, mentre ancora nulla si muove da parte materna; solo la terza volta che la ragazza torna a Seoul, sette anni dopo la prima, cambiata anche nell'aspetto fisico, oltre che divenuta una donna d'affari (si occupa di armamenti: per difendere la Corea del Sud da quella del Nord...) e, all'apparenza, ancora più sicura di sé, oltre a essere ormai in grado ci comprendere abbastanza bene la lingua, la madre accetterà di vederla, per una sola volta, in una scena completamente muta dove crollano tutte le difese della protagonista ed emerge il dolore profondo per il vuoto che sente dentro di sé a causa del senso di mancanza di qualsiasi radice o punto di riferimento, per cui questi ritorni nella terra natìa si rivelano, di fatto, un viaggio alla ricerca della propria identità più profonda. Compito ancora più difficile per una persona che si sente come un pesce fuor d'acqua e un'estranea sia nella realtà francese in cui è cresciuta ed è stata educata, sia in quella coreana. Il tutto raccontato con estremo nitore, naturalezza, senza cedere al melodramma e al sentimentalismo, con eleganza, partecipazione e intelligenza. Un gran bel film.

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