lunedì 29 maggio 2023

This Is Not a Drill

Roger Waters - This Is Not a Drill - Live dalla 02 Arena di Praga del 25 maggio. Con Roger Waters (vocals, bass guitar, acoustic guitar, electric guitar, piano), Jon Carin (keyboards, guitar, pedal steel guitar, vocals, Marxphone), Dave Kilminster (guitar, vocals), Jonathan Wilson (guitar, vocals), Gus Seyffert (bass guitar, guitar, vocals, accordion), Joey Waronker (drums, percussion), Amanda Belair (background vocals, percussion), Shanay Johnson (background vocals, percussion), Robert Walter (Hammond B3 organ, keyboards, piano, melodica), Seamus Blake (saxophone, clarinet).

Persa l'occasione dei 7 concerti italiani tra marzo e aprile a Milano e Bologna, ho felicemente approfittato della trasmissione in diretta tramite Nexo Digital di quello tenutosi alla 02 Arena di Praga giovedì scorso: imperdibile. Una delle ultime proiezioni nelle sale dello storico Cinema Centrale di Udine, che fa parte del Gruppo Visionario, in via di dismissione: chiuderà in settembre, per lasciare spazio, pare, all'ennesimo supermercato. La speranza è che il nuovo sindaco De Toni ascolti il grido di dolore e trovi una soluzione per impedire il misfatto ma la vedo dura, se anche per un evento del genere la sala era semivuota. Giovani, pochi: ma questo era già più prevedibile. Riguardo al concerto non ho nulla da aggiungere all'articolo che Andrea Scanzi aveva pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 28 aprile scorso e che ripropongo più sotto, mentre ci tengo a segnalare, come già fatto da Waters in persona durante il concerto, che l'imbecillità non ha limiti né frontiere: l'artista e attivista britannico è stato indagato dalla polizia tedesca (il colmo del grottesco) per "istigazione all'odio" per aver indossato una divisa da ufficiale delle SS durante la tappa berlinese del tour il 17 maggio scorso. Cosa che ha fatto in tutte le date della tournée all'inizio della seconda parte del concerto che si apre con In the Flesh, Run Like Hell e Déja Vu, e già dai tempi del film di Alan Parker The Wall del 1982.  Come se non bastassero le accuse di essere antisemita per il solo fatto di essere contrario alla politica dei governi israeliani nei confronti dei palestinesi (che, peraltro, sono semiti quanto gli ebrei), oltre che putiniano perché da sempre coerente pacifista. Mala tempora currunt...

Il concerto che Roger Waters riproporrà stasera e domani all’Unipol Arena di Bologna, dopo la data di una settimana fa e i quattro sold-out di marzo a Milano, poggia principalmente su due binari: quello politico e quello della memoria.

Palco enorme a croce, band pazzesca. Due ore e venti minuti di musica, con pausa poco sotto la mezzora. Scaletta di pregio (con qualche sorpresa), ogni sera tutto esaurito cascasse il mondo (in qualsiasi parte del mondo).

Waters è un precursore degli effetti speciali, che in questo spettacolo costituiscono una vera e propria narrazione nella narrazione: il sempiterno maiale che vola, e stavolta pure la pecora che volteggia durante l’esecuzione di Sheep, una delle tre suite-capolavoro del sottovalutato Animals. Sui due maxischermi scorrono esecuzioni, discorsi vomitevoli di Reagan (e non solo di Reagan), animazioni inquietanti, cecchini efferati. Con Waters la speranza non ha mai avuto granché spazio e, se possibile, negli anni il deflagrare delle bombe e l’odore di morte e ingiustizia è persino aumentato. Anche solo il video che introduce il concerto e accompagna Comfortably Numb, riproposta nella versione penitenziale delle Lockdown Sessions, è una chiara dichiarazione d’intenti: l’umanità è al collasso, “piacevolmente insensibile” (il significato di Comfortably Numb) e rincoglionita così tanto da essersi “divertita da morire” (il titolo del suo capolavoro solista del 1992 è appunto Amused To Death).

“Forse la razza umana è terminata”, si domandava questo genio enorme e ingestibile (anche e soprattutto da se stesso) in Two Suns In The Sunset, la traccia conclusiva di The Final Cut, e non è un caso che il brano venga recuperato poco prima del commiato.

Il tour si chiama This Is Not A Drill, “Questa non è un’esercitazione”, e Waters l’ha presentato come “il mio primo tour d’addio”. Verosimilmente anche l’ultimo, perché il tempo passa pure per i miti (Roger ha 79 anni). Mai questo iper-pacifista ragionevolmente incarognito col mondo si era così raccontato sul palco: è proprio un Waters ciarliero, e dunque doppiamente spiazzante. C’è l’elemento politico, se possibile ancora più preponderante del solito: i soprusi del potere, la condanna della guerra (qualsiasi guerra), la vicinanza nei confronti delle minoranze (i nativi americani, le popolazioni indigene dell’Ecuador), l’abbraccio a Julian Assange. Waters scudiscia i potenti, che per lui restano “pigs on the wing” come la sua arcinemica degli Ottanta “Maggie” Thatcher, e ha il dente particolarmente avvelenato con gli Stati Uniti: Reagan e i Bush, ma pure Obama, certamente Trump e senza dubbio Biden, che “ha appena cominciato” la sua carriera da “criminale di guerra”.

Gli idioti accusano Waters di essere “antisemita”, accusa vile come quella di “filo-putiniano” (tra i war criminal, ovviamente, compare anche lui). L’unica “colpa” di Waters è quella di essere orgogliosamente vicino al popolo palestinese, a cui dedica una volta di più la splendida Déjà Vu indossando la kefiah. È un concerto tanto bello quanto doloroso, e chi non piange almeno una volta ha seri problemi di empatia (Us and Them, con quelle immagini che la suggellano, è davvero insostenibile). Waters si esibisce più volte al piano – rarità quasi biblica – e insiste sulla metafora del concerto inteso come bar, e quindi luogo di incontro e confronto. The Bar è anche il titolo dell’unico inedito, che viene ripreso alla fine – citando Sad Eyed Lady Of The Lowlands, gemma di Bob Dylan che Waters ha sempre amato – con dedica tripla: allo stesso “Bob”, alla quinta moglie di Roger e a suo fratello maggiore, scomparso un anno fa (e qui Waters si commuove, dopo aver buttato giù un bicchierino di Mezcal).

Se la parte politica scuote e strazia, quella della memoria commuove oltremodo. Waters racconta della sua amicizia con Syd Barrett, dei tempi con i Pink Floyd (in foto sfilano tutti tranne David Gilmour: i due si odiano) e di quanto sia facile smarrire se stessi, proprio come accadde a Syd, perché vivere è dannatamente complicato e “non è un’esercitazione”. Infiniti gli apici musicali (e visivi): Have A CigarWish You Were HereShine On You Crazy Diamond Part VI-VII-VRun Like Hell (dove Waters torna a indossare il ruolo del Pink dittatoriale di The Wall, con tanto di smitragliata alla folla), Déjà VuUs And Them. Alla fine si torna a piangere, perché Waters saluta tutti con Outside The Wall, il gioiellino che concludeva The Wall. Applausi, tripudio, ovazione.

Roger Waters è uno dei più grandi geni degli ultimi 37 secoli (a stare bassi). E se questo sarà davvero il suo ultimo tour, vivere senza più poterlo abbracciare dagli spalti non sarà che la malinconica conferma di quanto sia purtroppo calzante la frase che conclude The Dark Side Of The Moon: “In realtà non c’è nessun lato oscuro della luna. Di fatto è tutta scura”. Shine On, Roger.

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