"L'arminuta" di Giuseppe Bonito. Con Sofia Fiore, Carlotta De Leonardis, Vanessa Scalera, Fabrizio Ferracane, Elena Lietti, Andrea Fuorto e altri. Italia 2021 ★★★+
Non ho letto l'omonimo romanzo di successo di Donatella Di Pietrantonio da cui è tratto il film, per cui non posso fare raffronti e giudicare quanto gli sia fedele: sicuramente l'ultimo lavoro di Giuseppe Bonito, regista romano non prolifico e che, nella prova precedente, Figli, non mi aveva per nulla convinto, ha un suo perché e una vita propria, riabilitandolo ai miei occhi benché sussista la tendenza a una certa lentezza, che qui può anche starci, per lasciar parlare più gli sguardi e i gesti che le parole, invero piuttosto scarne ma sempre significative, e a una ripetitività che a volte diventa pesante; e, anche se i colpi di scena, almeno per chi non conosce la trama, non mancano, il racconto scorre nei binari di una prevedibilità che tuttavia non guasta. Se l'intento era da un lato ricostruire la divaricazione esistente tra città e campagna a compimento del boom economico degli anni Sessanta e della relativa rivoluzione sociologica avvenuta nel Paese, quando (siamo nell'estate del 1975 in Abruzzo) sia la piccola borghesia sia la classe operaia si erano almeno parzialmente emancipate, adeguandosi al modello consumistico, e dall'altro la consuetudine, peraltro tutt'ora attuale, di trattare i figli come dei "pacchi postali", decidendo dei loro destini senza ascoltare il loro parere, con conseguenze spesso disastrose, la storia dell'arminuta, ossia la "ritornata", magnificamente interpretata dall'adolescente Sofia Fiore, si presta in maniera esemplare. Cresciuta in città, a Pescara, presso una coppia benestante che ha sempre considerato i suoi genitori naturali, nell'estate fra la 2ª e la 3ª media viene rispedita dai genitori biologici che vivono in un cascinale nell'aspro interno della regione che, a sole poche decine di chilometri dalla costa, è un mondo che vive in una dimensione completamente diversa, completamente agreste, distante anni luce dalla città. La ragazza, 13 anni, vi si ritrova spaesata, costretta a vivere in un ambiente totalmente estraneo, in una situazione di promiscuità con quattro fratelli di cui uno che la tampina in preda a crisi ormonali, un padre che non parla se non a grugniti e cinghiate con chi mette in discussione la sua autorità e una madre anaffettiva con cui non riesce a comunicare fino a quando, in seguito alla perdita di uno dei figli in un incidente, le confesserà quello che tutti gli altri, meno lei, sanno già: ossia che è finita in quella famiglia per un patto con una cugina che, all'apparenza, non poteva avere figli e che il ritorno è stato dovuto a un cambiamento di prospettiva. L'unico rapporto positivo lo ha con la sorellina Adriana, la più sveglia della famiglia, che la "adotta" come sorella maggiore e come modello e al contempo riesce a renderle più sopportabile la situazione, e con la professoressa di lettere dell'ultima classe delle medie che frequenta al paesello e che la convince a partecipare a un concorso letterario che ha come premio, peri il vincitore, una borsa di studio per le superiori e la incoraggia a iscriversi al liceo classico del capoluogo. Per chi ha vissuto quegli anni è un tuffo nei ricordi molto realistico, per la precisione con cui sono stato ricostruiti ambienti e situazioni; gli interpreti sono tutti all'altezza, le due ragazze una spanna in più, e credibili nelle rispettive parti. Un buon film complessivamente, e nessun amarcord nostaglico, benché il presente non sia per nulla migliore.
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