"Il bambino nascosto" di Roberto Andò. Con Silvio Orlando, Giuseppe Pirozzi, Lino Musella, Imma Villa, Gianfelice Imparato, Salvatore Striano, Tonino Taiuti, Roberto Herlitzka e altri. Italia 2021 ★★★★-
Intellettuale poliedrico, Roberto Andò gira pochi film, ma buoni e mai banali: questa volta adatta sullo schermo un suo romanzo uscito l'anno scorso dallo stesso titolo, convincendo Silvio Orlando a tornare al cinema per interpretare il personaggio principale, Gabriele Santoro, un maestro di pianoforte che insegna al conservatorio di Napoli e ha scelto di vivere, in solitudine, fra spartiti, libri e li suo amato strumento, in un appartamento di un nobile palazzo in decadenza nel rione Forcella, considerato particolarmente pericoloso, dove, come nel resto del centro di Napoli, città stratificata come poche e nella quale tutto si mescola, alto e basso, ricco e povero si incontrano, si mescolano e vivono in simbiosi. E' un uomo abitudinario, metodico, colto, che combatte l'avanzare dell'età e l'intorpidimento mentale recitando poesie a memoria, il quale un bel giorno si ritrova in casa Ciro, un ragazzino di poco più di dieci anni, figlio di un vicino di casa legato alla camorra, che cerca rifugio e protezione. All'inizio l'uomo non capisce perché, ma pian piano scopre che gli sgherri di un boss stanno gli dando la caccia perché, assieme a un coetaneo già acciuffato, avrebbe scippato la madre del capobastone. Il film racconta, in maniera sobria, credibile ed estremamente elegante, la nascita e la trasformazione del rapporto tra due persone che più distanti non potrebbero essere, per età e ambiente d'origine, facendo interagire i personaggi, il cui modo di essere interpretati dai due attori, entrambi bravissimi (Orlando, come si sa, per la sua misuratezza e l'uso parsimonioso di parole e gesti, il giovane Giuseppe Pirozzi per la sua esuberante fisicità), principalmente nel contesto della loro forzata convivenza, e intuire le ragioni morali che stanno alla base della scelta di Gabriele di nascondere il ragazzino dai suoi feroci inseguitori e prendersi cura di lui, nonostante gli enormi rischi che corre: il fratello, ambizioso magistrato che non smette di rimproverarlo per essere stato sempre la delusione della famiglia, per di più abbandonando la dimora avita al Vomero per mischiarsi ai plebei, si guarda bene dall'aiutarlo, così l'uomo, dopo aver visto il cadavere del padre di Ciro dopo che i persecutori hanno inscenato un finto suicidio, dapprima medita una sorta di vendetta nei confronti del boss, poi architetta una fuga, chiarendo in una lettera la sua decisione di sfidare non solo la camorra ma anche una giustizia meramente formale e obiettivamente complice, per non parlare delle cosiddette "forze dell'ordine", conniventi e tutt'al più rassegnate alla "riduzione del danno" di fronte al dilagare della malavita organizzata. Il film racconta anche questo, oltre a essere la storia di una sorta di paternità surrogata, dove un uomo apparentemente indifferente e chiuso in sé stesso si evolve prendendosi la cura e la responsabilità del prossimo per una motivazione morale superiore. Ambientazione suggestiva, citazioni non casuali, eleganza ma anche realismo nel mostrare alcuni angoli non banali di una città così complessa e contraddittoria come Napoli, sensibilità ed equilibrio, un fondo di malinconia, forse un po' lungo e probabilmente superflua la parentesi sull'omosessualità di Gabriele, ma comunque un ottimo film.
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