"Madres parallelas" di Pedro Almodóvar. Con Penélope Cruz, Milena Smit, Rossy De Palma, Aitána Sánchez-Gijón, Israel Elejade, Julieta Serrano e altri. Spagna 2021 ★★★★1/2
Sempre una certezza, il Maestro colpisce ancora: riesce a parlare di cose serie e far riflettere pur non abbandonando mai il melodramma e la messa in scena di un universo prevalentemente femminile, che sa descrivere come pochi, e il gioco d'incastri di situazioni che solo in apparenza sono delle semplici coincidenze ma risultano invece sempre funzionali sia al racconto, per renderlo più appassionante, sia a ciò che ci sta dietro e che rappresenta, ossia quanto Pedro Almodóvar intende esprimere. Che, in questo film in particolare, è la necessità della memoria: per poter affrontare il futuro, personale come di un Paese, nella fattispecie la Spagna ma vale altrettanto, se non di più, per l'Italia, occorre sapere da dove si viene e chi si è, affrontando un passato su cui si preferisce sorvolare. Janis e Ana sono due donne che si conoscono partorendo lo stesso giorno nella stessa clinica di Madrid due bimbe, Cecilia e Anita, che nascono entrambe senza padre. Fortemente voluta Cecilia da Janis (Penélope Cruz), quarantenne fotografa affermata, cresciuta a sua volta senza padre da una nonna che le parlava sempre del bisnonno sequestrato dai franchisti durante i primi giorni della Guerra Civile e mai tornato, ossessionata dal desiderio di riesumarne i resti per dar loro degna sepoltura che si trovano in una fossa comune di cui tutto il paese d'origine ha conoscenza ma le autorità, guarda caso no; mentre Anita (Milena Smit) è il frutto di uno stupro di gruppo, dunque subita, da una ragazza che ha la metà degli anni di Janis, un pessimo rapporto sia col padre, sia con la madre, un'assenza/presenza che a sua volta si è sposata solo per uscire di casa e dedicarsi alla sua carriera di attrice (Aitána Sánchez Gijón è superba nel suo ruolo): un'adolescente che non ha la minima idea del passato, senza radici, né desidera averne. Nonostante siano per molti versi l'opposto, le due donne solidarizzano e dopo una serie di traversie tornano a entrare in contatto e il loro rapporto si trasforma. Nel mentre però la piccola Anita è morta per un problema respiratorio che presentava già alla nascita mentre il padre di Cecilia, Arturo, l'unica presenza fisica maschile del film, che è un antropologo forense a suo tempo contattato da Janis per lavorare alla fossa comune indicatale dalla nonna, non potendo non notare il suo aspetto decisamente "etnico" si dice subito sicuro di non poterne essere il genitore biologico e induce nel dubbio Janis, che fa fare l'esame del DNA a Cecilia e poi anche all'amica Ana, divenuta nel frattempo sua convivente, a anche lei cadrà nel tranello del "non detto", finché non si arriverà a una svolta che porterà a un chiarimento per tutti. Ho già detto troppo, il resto lo scoprirete andando a vedere questo film che conferma, se ve ne fosse la necessità, l'immenso talento del regista manchego nel raccontare storie, ambienti, psicologie e di far pensare, divertendo. Vale sempre la pena andarlo a vedere.
Amo Almodovar da sempre, condivido ma non in toto la tua recensione sul film. Mi spiego, mi pare che la parte ironica e divertente tipica dei sui meravigliosi films, quando non sono i gay i protagonisti viene a mancare.
RispondiEliminaNessuno come lui sa descrivere e parlare di donne,
ma invecchiando lo fa sempre più seriamente. Quella ironia mi manca.