"La ragazza di Stillwater" (Stillwater) di Tom McCarthy. Con Matt Damon, Camille Cottin, Abigail Breslin, Deanna Dunagan, Robert Peters, Moussa Maaskri e altri. USA 2021 ★★★½
Attore, sceneggiatore e regista poco prolifico ma in compenso di ottimo livello (suo l'esemplare Il caso Spotlight del 2015), a Tom McCarthy va il grande merito di raccontare una storia, che chiaramente prende spunto dall'annosa vicenda di Amanda Kno, che aveva scatenato il giornalismo pruriginoso e annusapatte nazionale e non per un periodo interminabile, senza trarne un legal thriller dal punto di vista americano ma anzi, utilizzandone alcuni stilemi e procedendo a metà fra il film d'azione e il giallo, per centrare il racconto sul senso di spaesamento e di inadeguatezza dei suoi personaggi principali, a cominciare da quello di Bill Baker (Matt Damon, misurato, ineccepibile), operaio petrolifero dell'Oklahoma, insomma gli USA più profondi, che si arrabatta tra lavori precari, un passato turbolento, una moglie suicida, un padre assente, il quale si reca a Marsiglia, una delle città più multietniche dell'intero Mediterraneo, dove da 5 anni la figlia Allison sta scontando una pena a 9 per l'omicidio di Lina, sua amante e convivente, per cercare di riportarla a casa e, soprattutto, recuperare un rapporto con lei. I due mondi, quello da cui proviene e quello in cui deve operare lo zotico e taciturno Bill non potrebbero essere più diversi, come pure i rapporti umani e i sistemi giudiziari, sbrigativo e grossolano uno, burocratico e garantista l'altro, per non parlare delle difficoltà linguistiche: ad aiutarlo a inserirsi nella realtà locale l'incontro casuale con Virginie (sempre un piacere rivedere in azione la bravissima Camille Cottin), un'attrice di teatro d'avanguardia, e sua figlia Maya, una bambina sveglia e sensibile, con la quale instaura un rapporto di affetto filiale profondo e proficuo, anche per ricucire quello con Allison, segnata come il padre da un destino che pare ineluttabile di mettersi nei guai cedendo all'impulso di un carattere poco strutturato. La vicenda si dipana tra la caccia a un personaggio, un giovane di origine maghrebina, che pare fosse presente sulla scena del delitto e mai convolto nelle indagini ufficiali, che potrebbe dare adito alla riapertura del caso, che Bill intraprende nonostante gli ostacoli linguistici, le omertà di ambienti ostili, gli intralci posti dalla polizia e dai legali; i colloqui con la figlia e le sue rare giornate di permesso; lo svilupparsi del rapporto con Camille e con Maya, presso le quali va a vivere in in cambio di una pigione e di lavoretti in casa dopo aver deciso di restare in Provenza, dove si è messo a lavorare come muratore a giornata. Pregio del regista quello di non indugiare su una Marsiglia da cartolina, e di non banalizzare la contrapposizione fra mentalità così diverse trasformandola in macchietta; tenere sulle spine lo spettatore con qualche colpo di scena azzeccato, seppur tirandola un po' troppo per le lunghe e trovare un esito abbastanza plausibile alla vicenda della ragazza e senza enfatizzare in senso trionfalistico il suo ritorno in patria. Anzi: la cerimonia di accoglienza dei Baker padre e figlia da parte delle autorità dell'Oklahoma è volutamente resa in modo imbarazzante e, una volta ristabilitisi a Stillwater, la loro cittadina d'origine, sarà la sensazione di vuoto e di sradicamento ad assalire entrambi, coscienti di avere lascito qualcosa di importante, là in Francia, nonostante tutto: il rapporto con gli altri e, quindi, con sé stessi.
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