martedì 14 settembre 2021

Welcome Venice

"Welcome Venice" di Andrea Segre. Con Paolo Pierobon, Andrea Pennacchi, Roberto Citran, Sara Lazzaro, Giuliana Musso, Anna Bellato, Sandra Toffolatti, Stefano Scandaletti e altri. Italia 2021 ★★★★½

C'erano Paolo Pierobon, Sara Lazzaro, Giuliana Musso (di casa in città) ad accompagnare sabato sera Andrea Segre al Visionario di Udine in occasione della presentazione del lungometraggio di finzione che chiude, per ora, il suo ciclo lagunare, e che è stato ideato nel corso del forzato soggiorno veneziano sull'isola della Giudecca durante il lockdodwn della primavera del 2020, quando aveva realizzato quel piccolo capolavoro che è Molecole, e girato in quella di quest'anno, nel corso di quello "parziale", proiettato fuori concorso al Festival di Venezia e accolto con grande favore dal pubblico. E lo merita in pieno. Di finzione per modo di dire, perché la vicenda è quanto mai verosimile e vede coinvolti tre fratelli giudecchini, Antonio, Pietro e Alvise, e la casa di famiglia sull'isola, abitata dal solo Pietro (Pierobon) che, dopo un soggiorno nelle patrie galere, ha appreso dal primo (Citran) l'arte di pescare le moeche, il tipici granchi lagunari così chiamati nel periodo di muta, in primavera e in autunno, quando perdono il carapace, una leccornia gastronomica che ha pochi uguali al mondo. La morte accidentale di Antonio, il più anziano, durante un'escursione nelle barene di fronte all'isola, e le ristrettezze economiche in cui versa la moglie (Ottavia Piccolo), che deve anche mantenere un figlio all'università di Roma, solletica l'avidità dell'untuoso Alvise (Pennacchi), che già si occupa di affittare appartamenti ai visitatori, che vede nella riconversione della casa una grande opportunità in occasione della ripartenza (quante volte questa parole ha trapanato i nostri timpani in quest'ultimo anno?) in grande stile dell'osceno circo turistico che ha sfregiato Venezia come tante altre città italiane e non solo, ma che in Laguna ha degli effetti più devastanti che altrove, e questo con la compiacente complicità dei sui residui abitanti per non parlare di quelli che si sono trasferiti nell'immediato entroterra che vengono a fare le comparse (e gli affari) durante il giorno. In collaborazione con la figlia e con il fidanzato di questa, giovane immobiliarista coadiuvato da un giovane bocconiano di Corsico (Milano), degno allievo di finanzieri come i due Mario, Monti e Draghi, che hanno portato il Paese alla miseria economica, morale e senza prospettive in cui si trova, Alvise compra (indebitandosi) la parte del fratello scomparso costringendo di fatto, dopo una serie di litigi e d investimenti azzardati, Pietro a mollare il colpo e trasferirsi a Mestre. L'idea è quella di  offrire al turista, in cerca di quell'autenticità andata distrutta dalla globalizzazione nel suo Paese, Venezia con le sue roots più profonde e veraci, "vendere delle esperienze", per esempio quella della pesca dei gransi in barena, cosa per cui tornerà utile lo stesso Pietro, quindi non solo quella di vivere in una genuina casa di famiglia, arredata peraltro pacchianamente con mobili stile Ikea e strasse da bancarella, tra cui spicca la raccapricciante riproduzione di un ferro de gondola (rostro) in finto vetro di Murano retroilluminato, ma alla prima visita il magliaro e i malcapitati ospiti avranno una sorpresa... Raccontando con garbata ironia una storia gradevole, lineare, credibile, e avvalendosi di uno splendido cast di interpreti tutti nati entro il raggio di qualche decina di chilometri dal capoluogo veneto, Segre continua la sua riflessione sul destino della città e dei suoi residui abitanti, la cui capacità di resistenza è sempre più minata da interessi "superiori", quali la ripresa di un turismo da rapina, il quale a sua volta sta mostrando la corda: perché se anche si riuscisse a "riqualificarlo", limitando le orde di quelli "mordi e fuggi" scaricati quotidianamente da centinaia treni, torpedoni e dalle oscene navi da crociera, anche a quello di livello più alto sarà arduo propinare quell'autenticità che si vuole vendere come esperienza, perché di "vero" non sarà rimasto più nulla. A parte le moeche, che però tra un po' nessuno sarà capace di pescare. 

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