"Qui rido io" di Mario Martone. Con Toni Servillo, Maria Nazionale, Gianfelice Imparato, Cristina Dell'Anna, Antonia Truppo, Eduardo Scarpetta (II), Roberto De Francesco, Lino Musella, Marzia Onorato, Paolo Pierobon, Iaia Forte, Chiara Baffi, Gigio Mora, Benedetto Casillo, Francesco Di Leva, Giovanni Laudeno, Nello Mascia e altri. Italia, Spagna 2021 ★★★★★
Un film bellissimo, o meglio un romanzo teatrale e famigliare su Eduardo Scarpetta e la sua dinastia, che comprende i fratelli De Filippo, figli della cugina della moglie Rosa, e i loro discendenti, completamente ignorato dalla giuria dell'ultimo Festival di Venezia. Se si vanno a leggere i nomi dei suoi componenti si comprende subito il perché: non erano in grado di capirlo, nemmeno coi sottotitoli. E difficilmente il film avrà successo fuori dai nostri confini, ma meriterebbe di essere degnamente apprezzato in tutta Italia: me lo auguro di cuore. Regista e sceneggiatore, Mario Martone è uomo di teatro prima che di cinema, e mai ho visto trasporre quel mondo, ciò che avviene sulla scena ma anche se non soprattutto dietro le quinte, e la commistione fra realtà e finzione che ne è la sostanza, in maniera più felice ed efficace sullo schermo, merito anche della straordinaria interpretazione di Toni Servillo, prim'attore nel ruolo di quell'altro prim'attore e capocomico che ha creato il teatro dialettale moderno e non solo quello napoletano, sul finire del XIX Secolo e gli inizi del ventesimo, e di un intero cast in stato di grazia senza alcuna eccezione, e tutto impregnato dalla polvere di palcoscenico. Qui rido io, che prende il titolo dalla scritta incisa sulla facciata di La Santarella, villa liberty che Scarpetta si fece costruire sulla collina del Vomero che era la sontuosa tana di tutta la tribù Scarpetta-De Filippo, una famiglia allargata ante litteram diretta da una sorta di padre-padrone dalla personalità dirompente e complessa, ma in cui è ben presente e protagonista anche tutta la parte femminile, racconta gli anni dell'apice del successo dell'inventore di Felice Scosciammocca, la maschera-senza maschera che in qualche modo ha anticipato perfino Charlot oltre che ispirato Totò, che non irrideva più la nobiltà come il teatro tradizionale napoletano bensì la piccola borghesia, dalla quale lo stesso Scarpetta, figlio di un funzionario statale, proveniva, fino all'inizio del suo declino, iniziato non solo con la comparsa del cinema, ma soprattutto con una causa intentatagli da Gabriele D'Annunzio (Paolo Pierobon sullo schermo; l'unico foresto della compagnia...) per interposta Società degli Autori, con l'incauta quanto stupida accusa di aver plagiato La figlia di Iorio con la sua farsa Il figlio di Iorio, di fatto un processo alla libertà di parodia (che non è contraffazione), e quindi di espressione, da parte dei cultori del Vate come Di Giacomo e Bracco, fautori di un Teatro d'Arte in cui fosse protagonista, a loro dire, il "vero popolo", partendo però, guarda caso, da premesse puramente letterarie e paternalistiche, causa che il querelato vinse, contrariamente alle aspettative generali, sostenuto nientemeno che da Benedetto Croce, portando a sua volta il teatro nell'aula del tribunale con un'autodifesa puntigliosa quanto esilarante. Famiglia e teatro sono tutt'uno nel film di Martone, che racconta anche un periodo di particolare fermento, e non solo culturale, nella storia del Paese, anche per ciò che si stava preparando: l'entrata di guerra, perorata da fanatici come lo stesso D'Annunzio, e l'avvento del fascismo, espressione piccolo borghese quanto poche altre, a cui il Vate, l'esempio più tipico della retorica più sfrenata e del fanfaronismo all'italiana, fornì buona parte dell'armamentario di "frasi celebri" utilizzate poi da un altro tragico pagliaccio, Benito Mussolini, un personaggio tanto egolatra e propenso al gesto esemplare quanto ridicolo e inconcludente nel mettere poi in pratica le sue pretese idee, aspetto che Scarpetta aveva immediatamente colto, ironizzando sul fatto che nascondesse il proprio vero cognome, Rapagnetta. A corollario di un film girato magistralmente, con un buon ritmo, una ricostruzione d'ambiente esemplare e un commento musicale all'altezza: per me una delle cose migliori viste al cinema da anni.
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