"Race - Il colore della vittoria" (Race) di Stephen Hopkins. Con Stephan James, Jason Sudeikis, Carice van Houten, Jeremy Irons, William Hurt, Eli Goree, Tony Curran e altri. Germania, Canada, Francia 2016 ★★½
Lo spunto di questo film biografico è interessante: richiamare alla memoria la storia di Jesse Owens, il formidabile atleta nero che vinse quattro medaglie d'oro proprio in occasione delle più controverse Olimpiadi di sempre, quelle di Berlino del 1936, fortemente volute da Hitler per celebrare sia i successi della Nuova Germania, uscita sotto la sua guida dalla crisi seguita alla sconfitta nella Grande Guerra, sia la superiorità della razza ariana, e dell'etnia tedesca tra tutte, infrangendone i sogni di gloria, almeno sportiva, nonché le mire propagandistiche, proprio a domicilio. Nato povero, abbandona una figlia piccola e la madre di questa, che sposerà soltanto quando raggiungerà la tranquillità economica, nonché la propria famiglia in povertà per frequentare l'Università dell'Ohio, dove sotto la guida di coach Larry Snyder (il personaggio più simpatico del film, affidato a Jason Sudeikis, di professione comico, che riesce a renderlo tale senza cadere troppo nel ridicolo) conquisterà la qualificazioni alla competizione, e tutto va bene finché alcuni maggiorenti della comunità nera, che la stanno guidando nella lotta per la conquista dei diritti civili, di cui nei "democraticissimi" USA dei tempi non c'era traccia nel Sud, e soltanto a parole nel resto dell'Unione, lo invitano a boicottare i Giochi, proprio in nome della battaglia contro ogni razzismo. Sorge il momento del dubbio nell'atleta, impersonato dal giovane attore di colore canadese Stephen James, troppo carino per interpretare il vero Jesse Owens, ma anche tra i massimi dirigenti del Comitato Olimpico Americano, dove alla fine la linea di partecipazione alle Olimpiadi "naziste" sostenuta da Avery Brundage (un personaggio losco che diventerà capo del CIO internazionale dal 1952 al 1972, la cui odiosità è resa con la consueta bravura, invero un po' gigiona, di Jeremy Irons) avrà la meglio, per un soffio, su quella del boicottaggio sostenuto dalla parte liberal (efficace William Hurt, la cui presenza ha sempre un suo perché). Alla fine, anche Owens si deciderà a partecipare alla competizione, coi risultati che sono entrati nella storia. Buono nella ricostruzione dell'ambiente, sia al di qua sia al di là dell'Atlantico, e funzionante per la sceneggiatura nonché per alcune riprese spettacolari, e meritorio per ricordare un episodio oscuro come la sostituzione, all'ultimo momento, degli unici due atleti ebrei americani in gara proprio nella staffetta 4x100 (alla cui vittoria contribuì in modo fondamentale Owens) per probabili intrighi di Brundage su dirette pressioni di Goebbels, con cui era in affari, il film pecca di favolismo ottimista e carico di oppurtune omissioni, e per quanto vedibile, si rivela un'americanata ad honorem, nonostante sia frutto di una coproduzione franco-tedesca con contributo canadese.
Lo spunto di questo film biografico è interessante: richiamare alla memoria la storia di Jesse Owens, il formidabile atleta nero che vinse quattro medaglie d'oro proprio in occasione delle più controverse Olimpiadi di sempre, quelle di Berlino del 1936, fortemente volute da Hitler per celebrare sia i successi della Nuova Germania, uscita sotto la sua guida dalla crisi seguita alla sconfitta nella Grande Guerra, sia la superiorità della razza ariana, e dell'etnia tedesca tra tutte, infrangendone i sogni di gloria, almeno sportiva, nonché le mire propagandistiche, proprio a domicilio. Nato povero, abbandona una figlia piccola e la madre di questa, che sposerà soltanto quando raggiungerà la tranquillità economica, nonché la propria famiglia in povertà per frequentare l'Università dell'Ohio, dove sotto la guida di coach Larry Snyder (il personaggio più simpatico del film, affidato a Jason Sudeikis, di professione comico, che riesce a renderlo tale senza cadere troppo nel ridicolo) conquisterà la qualificazioni alla competizione, e tutto va bene finché alcuni maggiorenti della comunità nera, che la stanno guidando nella lotta per la conquista dei diritti civili, di cui nei "democraticissimi" USA dei tempi non c'era traccia nel Sud, e soltanto a parole nel resto dell'Unione, lo invitano a boicottare i Giochi, proprio in nome della battaglia contro ogni razzismo. Sorge il momento del dubbio nell'atleta, impersonato dal giovane attore di colore canadese Stephen James, troppo carino per interpretare il vero Jesse Owens, ma anche tra i massimi dirigenti del Comitato Olimpico Americano, dove alla fine la linea di partecipazione alle Olimpiadi "naziste" sostenuta da Avery Brundage (un personaggio losco che diventerà capo del CIO internazionale dal 1952 al 1972, la cui odiosità è resa con la consueta bravura, invero un po' gigiona, di Jeremy Irons) avrà la meglio, per un soffio, su quella del boicottaggio sostenuto dalla parte liberal (efficace William Hurt, la cui presenza ha sempre un suo perché). Alla fine, anche Owens si deciderà a partecipare alla competizione, coi risultati che sono entrati nella storia. Buono nella ricostruzione dell'ambiente, sia al di qua sia al di là dell'Atlantico, e funzionante per la sceneggiatura nonché per alcune riprese spettacolari, e meritorio per ricordare un episodio oscuro come la sostituzione, all'ultimo momento, degli unici due atleti ebrei americani in gara proprio nella staffetta 4x100 (alla cui vittoria contribuì in modo fondamentale Owens) per probabili intrighi di Brundage su dirette pressioni di Goebbels, con cui era in affari, il film pecca di favolismo ottimista e carico di oppurtune omissioni, e per quanto vedibile, si rivela un'americanata ad honorem, nonostante sia frutto di una coproduzione franco-tedesca con contributo canadese.
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