"La comune" (Kollektivitet) di Thomas Vinterberg. Con Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Helene Reingaard Neumann, Marta Sophie Wallstrom Hansen, Lars Ranth, Julie Agnete Vang, Fares Fares, Anne Gry Hennigsen e altri. Danimarca, Svezia, Olanda 2016 ★★★½
Se si esclude Aki Kaurisimäki (un uomo, un mito), il mio approccio al cinema nordico, e scandinavo in particolare, è da sempre cauto e, lo ammetto, prevenuto: pavento lunghe sedute di lugubri analisi introspettive ed estenuanti onanismi mentali multipli e senza gioia, dunque sono contento che "La comune" abbia smentito i miei timori. Non perché sia divertente (in parte lo è: ma soprattutto è vitale e non funereo) e perché manchi l'aspetto psicologico, tutt'altro: non è previsto un vero happy end e tutto il film si basa sull'interazione delle psicologie dei vari personaggi che animano la comune di cui al titolo. Ossia un gruppo di amici che si trova fare un'esperienza di convivenza nella grande casa di famiglia (con cui aveva rotto anni prima) ereditata da uno di loro, Erik, un docente di architettura all'università di Copenhagen (siamo alla metà degli anni Settanta), inizialmente intenzionato a vendere l'edificio e poi convinto dalla moglie Anna, conduttrice del principale TG della televisione pubblica, a tentare l'esperienza comunitaria che era nelle corde della "meglio gioventù" dell'epoca (ricordo l'esperimento di Christiania, quartiere autogovernato nel cuore della capitale danese iniziato nel 1971, e che parzialmente resiste tuttora). Con Erik ed Anna, che hanno anche una figlia adolescente, Freja, vive un'altra coppia con un bambino con problemi cardiaci, che continua ad autopredire la propria morte a 9 anni, e altri tre singles, tutti sulla quarantina e, tra cene in comune, feste di Natale, assemblee e richiami all'ordine, perché ogni tanto qualcuno non rispetta le regole, o gli impegni presi (a cominciare dalle spese) le cose procedono bene finché l'equilibrio si rompe quando Erik si innamora di Emma, una sua allieva ventiquattrenne che, proprio su insistenza della stessa Anna, la moglie tradita, viene a far parte della cerchia, ma la coesistenza tra le due donne non potrà durare, al di là delle migliori intenzioni, a dimostrazione che la messa in pratica delle più perfette teorie non solo ha prezzi altissimi per la parte soccombente, ma non produce mai gli effetti sperati. L'occhio di Vinterberg è particolarmente acuto nel cogliere le dinamiche individuali e di gruppo e oltre alla bravura degli interpreti (su tutti la Anna di Trine Dyrholm) si avvale della propria esperienza diretta, essendo cresciuto egli stesso in una comune, per averci vissuto dai sette ai diciannove anni, e lo fa con grande obiettività. Il risultato è una pellicola che merita di essere vista, da parte di molti miei coetanei con una certa nostalgia per le utopie nutrite in gioventù, ma per come saremo messi con le pensioni, ci rifaremo con le comuni di "pantere grigie" entro pochi anni: del resto il co-housing si sta sperimentando da tempo proprio nei Paesi scandinavi e sembra essere una via di scampo quasi inevitabile in alternativa alle case di riposo gestite dal terzo settore...
Se si esclude Aki Kaurisimäki (un uomo, un mito), il mio approccio al cinema nordico, e scandinavo in particolare, è da sempre cauto e, lo ammetto, prevenuto: pavento lunghe sedute di lugubri analisi introspettive ed estenuanti onanismi mentali multipli e senza gioia, dunque sono contento che "La comune" abbia smentito i miei timori. Non perché sia divertente (in parte lo è: ma soprattutto è vitale e non funereo) e perché manchi l'aspetto psicologico, tutt'altro: non è previsto un vero happy end e tutto il film si basa sull'interazione delle psicologie dei vari personaggi che animano la comune di cui al titolo. Ossia un gruppo di amici che si trova fare un'esperienza di convivenza nella grande casa di famiglia (con cui aveva rotto anni prima) ereditata da uno di loro, Erik, un docente di architettura all'università di Copenhagen (siamo alla metà degli anni Settanta), inizialmente intenzionato a vendere l'edificio e poi convinto dalla moglie Anna, conduttrice del principale TG della televisione pubblica, a tentare l'esperienza comunitaria che era nelle corde della "meglio gioventù" dell'epoca (ricordo l'esperimento di Christiania, quartiere autogovernato nel cuore della capitale danese iniziato nel 1971, e che parzialmente resiste tuttora). Con Erik ed Anna, che hanno anche una figlia adolescente, Freja, vive un'altra coppia con un bambino con problemi cardiaci, che continua ad autopredire la propria morte a 9 anni, e altri tre singles, tutti sulla quarantina e, tra cene in comune, feste di Natale, assemblee e richiami all'ordine, perché ogni tanto qualcuno non rispetta le regole, o gli impegni presi (a cominciare dalle spese) le cose procedono bene finché l'equilibrio si rompe quando Erik si innamora di Emma, una sua allieva ventiquattrenne che, proprio su insistenza della stessa Anna, la moglie tradita, viene a far parte della cerchia, ma la coesistenza tra le due donne non potrà durare, al di là delle migliori intenzioni, a dimostrazione che la messa in pratica delle più perfette teorie non solo ha prezzi altissimi per la parte soccombente, ma non produce mai gli effetti sperati. L'occhio di Vinterberg è particolarmente acuto nel cogliere le dinamiche individuali e di gruppo e oltre alla bravura degli interpreti (su tutti la Anna di Trine Dyrholm) si avvale della propria esperienza diretta, essendo cresciuto egli stesso in una comune, per averci vissuto dai sette ai diciannove anni, e lo fa con grande obiettività. Il risultato è una pellicola che merita di essere vista, da parte di molti miei coetanei con una certa nostalgia per le utopie nutrite in gioventù, ma per come saremo messi con le pensioni, ci rifaremo con le comuni di "pantere grigie" entro pochi anni: del resto il co-housing si sta sperimentando da tempo proprio nei Paesi scandinavi e sembra essere una via di scampo quasi inevitabile in alternativa alle case di riposo gestite dal terzo settore...
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