"La macchinazione" di David Grieco. Con Massimo Ranieri, Alessandro Sardelli, Libero de Rienzo, Roberto Citran, Milena Vukotic, Matteo Taranto e altri. Italia 2016 ★★+
Nutro il massimo rispetto per le intenzioni dell'autore, che a suo tempo si era rifiutato di collaborare alla sceneggiatura di Pasolini di Abel Ferrara perché questi avrebbe puntato maggiormente sull'aspetto sessuale nella ricostruzione degli ultimi giorni di vita dell'indimenticato artista, ma non mi pare proprio che in quella da lui operata l'insistenza sulla sua omosessualità sia minore, anzi: vi ho percepito perfino qualcosa di più morboso. Il film racconta i mesi che hanno preceduto l'assassinio di Pasolini, avvenuta la notte del 2 di novembre 1975 al Lido di Ostia, che lo vedevano impegnato costantemente tra le ultime fasi del montaggio di Salò, di cui alcune "pizze" furono trafugate con richiesta di un riscatto (e il tentato recupero delle quali avrebbe comunque avuto a che fare con l'omicidio), la collaborazione al Corriere, la scrittura del suo romanzo postumo "Petrolio" e le ricerche su Eugenio Cefis, presidente prima dell'ENI e poi di Montedison nonché fondatore della loggia massonica P2, il personaggio che lo aveva ispirato, infine le frequentazione di Pino Pelosi, che venne poi ufficialmente incolpato del delitto, il "ragazzo di vita" che non fu soltanto una frequentazione casuale. Ne emerge il rimpianto per la figura di un intellettuale a tutto tondo che aveva capito tutto, pur non avendone le prove, delle trame oscure che avvolgevano il Paese, ma anche la sua perdita d'identità dietro a un'idea di sviluppo esponenziale e basato unicamente su un consumismo senza limiti che coinvolge in generale tutto il mondo occidentale, pronosticando quella globalizzazione che sarebbe diventata il nuovo mantra con l'inizio del nuovo millennio. Il tutto ricreando in modo assai credibile sia l'entoruage di Pasolini, che Grieco, essendone stato collaboratore e amico conosce bene, sia l'atmosfera dei tempi; in più Massimo Ranieri si immedesima completamente nella parte oltre a somigliargli in maniera impressionante fisicamente (ma ne traspare l'accento partenopeo); meritoria è la scena degli incontri col fantomatico Steimetz, l'autore dietro pseudonimo di Questo è Cefis, libro che fu fatto sparire dalla circolazione e di cui Pasolini era riuscito a ottenere una versione fotocopiata, ma altre sono confuse, specie quelle ambientate nel sottobosco malavitoso borgataro con contatti con la Banda della Magliana e al contempo con i servizi deviati, per giungere a un finale in cui sembrano confluire le varie versioni alternative a quella ufficiale. Mentre è senz'altro possibile concordare con Greco sul fatto che la scomparsa di Pasolini abbia fatto comodo a molti e che le indagini siano state condotte in maniera a dir poco parziale e teleguidato omettendo fatti e testimonianze che avrebbero potuto aiutare a ricostruire la verità, trovo carente e abborracciata la maniera con cui si sfilaccia la pellicola nella sua parte conclusiva e cruciale, ossia per un terzo della sua durata, con un effetto "minestrone" che mi ha lasciato più perplesso che convinto su come, secondo l'autore e regista, si sarebbero svolti i fatti. Per un film-verità non mi pare un gran esito, e questo magari è un limite mio. Però non aiutano le interpretazioni che, a parte Raineri e l'ottimo Citran, peccano di una certa grossolanità.
Nutro il massimo rispetto per le intenzioni dell'autore, che a suo tempo si era rifiutato di collaborare alla sceneggiatura di Pasolini di Abel Ferrara perché questi avrebbe puntato maggiormente sull'aspetto sessuale nella ricostruzione degli ultimi giorni di vita dell'indimenticato artista, ma non mi pare proprio che in quella da lui operata l'insistenza sulla sua omosessualità sia minore, anzi: vi ho percepito perfino qualcosa di più morboso. Il film racconta i mesi che hanno preceduto l'assassinio di Pasolini, avvenuta la notte del 2 di novembre 1975 al Lido di Ostia, che lo vedevano impegnato costantemente tra le ultime fasi del montaggio di Salò, di cui alcune "pizze" furono trafugate con richiesta di un riscatto (e il tentato recupero delle quali avrebbe comunque avuto a che fare con l'omicidio), la collaborazione al Corriere, la scrittura del suo romanzo postumo "Petrolio" e le ricerche su Eugenio Cefis, presidente prima dell'ENI e poi di Montedison nonché fondatore della loggia massonica P2, il personaggio che lo aveva ispirato, infine le frequentazione di Pino Pelosi, che venne poi ufficialmente incolpato del delitto, il "ragazzo di vita" che non fu soltanto una frequentazione casuale. Ne emerge il rimpianto per la figura di un intellettuale a tutto tondo che aveva capito tutto, pur non avendone le prove, delle trame oscure che avvolgevano il Paese, ma anche la sua perdita d'identità dietro a un'idea di sviluppo esponenziale e basato unicamente su un consumismo senza limiti che coinvolge in generale tutto il mondo occidentale, pronosticando quella globalizzazione che sarebbe diventata il nuovo mantra con l'inizio del nuovo millennio. Il tutto ricreando in modo assai credibile sia l'entoruage di Pasolini, che Grieco, essendone stato collaboratore e amico conosce bene, sia l'atmosfera dei tempi; in più Massimo Ranieri si immedesima completamente nella parte oltre a somigliargli in maniera impressionante fisicamente (ma ne traspare l'accento partenopeo); meritoria è la scena degli incontri col fantomatico Steimetz, l'autore dietro pseudonimo di Questo è Cefis, libro che fu fatto sparire dalla circolazione e di cui Pasolini era riuscito a ottenere una versione fotocopiata, ma altre sono confuse, specie quelle ambientate nel sottobosco malavitoso borgataro con contatti con la Banda della Magliana e al contempo con i servizi deviati, per giungere a un finale in cui sembrano confluire le varie versioni alternative a quella ufficiale. Mentre è senz'altro possibile concordare con Greco sul fatto che la scomparsa di Pasolini abbia fatto comodo a molti e che le indagini siano state condotte in maniera a dir poco parziale e teleguidato omettendo fatti e testimonianze che avrebbero potuto aiutare a ricostruire la verità, trovo carente e abborracciata la maniera con cui si sfilaccia la pellicola nella sua parte conclusiva e cruciale, ossia per un terzo della sua durata, con un effetto "minestrone" che mi ha lasciato più perplesso che convinto su come, secondo l'autore e regista, si sarebbero svolti i fatti. Per un film-verità non mi pare un gran esito, e questo magari è un limite mio. Però non aiutano le interpretazioni che, a parte Raineri e l'ottimo Citran, peccano di una certa grossolanità.
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