"L'opera da tre soldi" di Bertolt Brecht e Kurt Weill. Traduzione di Roberto Menin, traduzione delle canzoni e regia di Damiano Michieletto; direttore d'orchestra Giuseppe Grazioli; scene di Paolo Fantin, costumi di Carla Teti, luci di Alessandro Carletti. Con Martin Ilunga Chishimba, Luca Criscuoli, Jacopo Crovella, Giandomenico Cupaiuolo, Lorenzo De Maria, Rossy De Palma, Pasquale Di Filippo, Margherita Di Rauso, Marco Foschi, Sergio Leone, Lucia Marinsalta, Daniele Molino, Sandhya Nagaraja, Matthieu Pastore, Stella Piccioni, Maria Roveran, Peppe Servillo, Claudio Sportelli, Giulia Vecchio, Sara Zoia e l'Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano. Produzione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa. Al Teatro Strehler di Milano fino alll'11 giugno.
Una toccata e fuga a Milano, con andata e ritorno in giornata domenica scorsa, che è decisamente valsa la pena per vedere la più celebre opera di Brecht e Weill rivisitata da Damiano Michieletto, nel teatro che fu fondato da Giorgio Strehler e di cui porta il nome, in una versione che nulla ha da invidiare al quella del 1972/73, di cui conservo il ricordo, curata dal maestro triestino (che fu il primo a proporla in Italia, nel 1956, presente l'autore, a pochi mesi dalla scomparsa). Una allestimento innovativo, focalizzato sul processo a Mackie Messer, dove l'aspetto tribunalizio è sempre fisicamente presente sulla scena, e rigoroso al contempo, ambientato com'è a Londra, così come l'originale tradotto da Elisabeth Hauptmann, storica collaboratrice di Brecht: la Beggar's Opera, l'Opera dei mendicanti, scritta dall'inglese John Gay nel 1728. Tutti i personaggi, nel corso dei tre atti, sono chiamati a testimoniare sull'imputato Macheath di fronte a una corte composta dal pubblico, mentre il giudice cambia palesemente interprete, per cui, nelle intenzioni del regista, il processo "diviene il filtro attraverso cui leggere la storia e al tempo stesso comprenderla". La vicenda, quindi, non segue un ordine cronologico ma viene rappresentata, e attualizzata, in una serie di flash-back, in cui ciascun personaggio racconta la propria azione in un unico spazio le cui pareti sono composte dalle sbarre di una gabbia. In estrema sintesi, il malavitoso Macheath, protetto dal capo della polizia che era suo compagno di scuola e amico dall'infanzia, può compiere le sue malefatte impunemente fino a quando, sposando segretamente Polly Peachum, la figlia del Re dei mendicanti, che controlla tutti gli accattoni della città (che qui prendono le vesti degli attuali migranti con tanto di giubbotti arancioni) ed è un vero e proprio imprenditore che lucra sulla carità, entra in collisione con quest'ultimo e il suo senso del "decoro", mentre la sua attività e ben più sordida e criminale di quella di Mackie. Che viene catturato e messo sotto processo perché "venduto" dalle "sue" puttane, e infine condannato, ma poi graziato perché, giunti al dunque, pecunia non olet e la corruzione domina oggi come e più di ieri. Paragonare la versione di Michieletto a quella di Strehler mi pare fuori luogo e ingiusto, anche se a mio parere è alla sua altezza e io preferisco questa. Ognuna è figlia del suo tempo: più ideologica e didascalica quella di Strehler, dove aveva maggior risalto la parte cantata (Domenico Modugno era Mackie Messer mentre Milva interpretava Jenny delle Spelonche), decisamente meno statica e più attuale, con maggior rilevo alla performance attoriale quella di Michieletto, e qui si difendono molto bene il Mackie di Marco Foschi, la perfetta Polly di Maria Roveran a mio parere non fa rimpiangere quella della Giulia Lazzarini dell'epoca, così come Sergio Leone il Tiger Brown di Gianni Agus e Giandomenico Cupaiuolo il Cantastorie di Giancarlo Dettori, mentre Peppe Servillo, cantante di professione, rende la perfidia di Peachum almeno quanto l'ironia del Gianrico Tedeschi di quarant'anni fa; infine, la presenza scenica di Rossy De Palma nel ruolo di Jenny delle Spelonche compensa ampiamente le qualità vocali di Milva. Teatro stracolmo, pubblico rapito e partecipe, applausi a scena aperta e uno spettacolo da non perdere.
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