"La legge del mercato" (La loi du marché) di Stéphane Brizé. Con Vincent Lindon, Karine de Mirbek, Matthieu Schaller, Yves Ory, Xavier Mathieu, Paul Portoleau, Pierre-Jean Feld, Philippe Vesco, Christophe Rossignon, Noël Mairot, Catherine Saint-Bonnet, Roland Thomin, Hakim Makoudi, Tevi Lawson, Faiçal Addou. Francia 2015 ★★★½
Quello di Brizé (coprodotto con Lindon, l'ottimo personaggio protagonista, e da Rossignon) è un film la cui pesantezza e relativa lentezza sono dovuti tanto alla crudezza dell'argomento, doloroso e quanto mai attuale, quanto alla modalità in cui è stato girato: con attori in buona parte non professionisti, ma scelti tra persone che, nella loro vita lavorativa, svolgono le medesime mansioni dei personaggi della pellicola, e per retribuire i quali quelli professionisti, Lindon in testa, si sono autoridotti il compenso. Thierry è un uomo semplice (come da titolo alternativo del film per la distribuzione internazionale, A Simple Man) quanto integro che, a 51 anni, con una moglie e un figlio disabile, si trova a fare tutta la trafila dei corsi di formazione e reinserimento al lavoro, per lo più utile soltanto a chi li organizza, dopo aver perso il posto perché l'azienda dove ha trascorso 25 anni della sua vita lavorativa ha chiuso per "delocalizzare" la produzione all'estero lasciando i 750 addetti sulla strada: una situazione in cui nell'UE si trovano ormai centinaia di migliaia di persone. Alla fine del "percorso" trova un posto come sorvegliante anti-taccheggio in un grande magazzino, che non centra nulla con la materia dei corsi d cui sopra ma che gli garantisce comunque uno stipendio dignitoso. Quel che è meno dignitoso, è quanto gli viene richiesto: non soltanto prendere di mira ladruncoli, spesso pensionati ridotti senza un soldo in tasca metà mese, ma anche i colleghi e in particolare modo quelle cassiere che non hanno accettato un piano di prepensionamento proposto dall'azienda, perché la parola d'ordine è sempre e soltanto una: ridurre il costo del lavoro e aumentare la "produttività", ma alla fine i principi morali di Thierry avranno la meglio sulle logiche dei "responsabili delle risorse umane". Si tratta di un film di denuncia che lascia parlare i fatti e i personaggi nella loro autenticità, grigia quanto quotidiana, senza bisogno di forzature e drammatizzazioni, e risparmia allo spettatore una "dardennizzazione" che a volte risulta eccessiva: per quanto possa risultare sgradevole e lasciare la bocca amara, merita di essere visto perché racconta una verità che si preferisce rimuovere.
Quello di Brizé (coprodotto con Lindon, l'ottimo personaggio protagonista, e da Rossignon) è un film la cui pesantezza e relativa lentezza sono dovuti tanto alla crudezza dell'argomento, doloroso e quanto mai attuale, quanto alla modalità in cui è stato girato: con attori in buona parte non professionisti, ma scelti tra persone che, nella loro vita lavorativa, svolgono le medesime mansioni dei personaggi della pellicola, e per retribuire i quali quelli professionisti, Lindon in testa, si sono autoridotti il compenso. Thierry è un uomo semplice (come da titolo alternativo del film per la distribuzione internazionale, A Simple Man) quanto integro che, a 51 anni, con una moglie e un figlio disabile, si trova a fare tutta la trafila dei corsi di formazione e reinserimento al lavoro, per lo più utile soltanto a chi li organizza, dopo aver perso il posto perché l'azienda dove ha trascorso 25 anni della sua vita lavorativa ha chiuso per "delocalizzare" la produzione all'estero lasciando i 750 addetti sulla strada: una situazione in cui nell'UE si trovano ormai centinaia di migliaia di persone. Alla fine del "percorso" trova un posto come sorvegliante anti-taccheggio in un grande magazzino, che non centra nulla con la materia dei corsi d cui sopra ma che gli garantisce comunque uno stipendio dignitoso. Quel che è meno dignitoso, è quanto gli viene richiesto: non soltanto prendere di mira ladruncoli, spesso pensionati ridotti senza un soldo in tasca metà mese, ma anche i colleghi e in particolare modo quelle cassiere che non hanno accettato un piano di prepensionamento proposto dall'azienda, perché la parola d'ordine è sempre e soltanto una: ridurre il costo del lavoro e aumentare la "produttività", ma alla fine i principi morali di Thierry avranno la meglio sulle logiche dei "responsabili delle risorse umane". Si tratta di un film di denuncia che lascia parlare i fatti e i personaggi nella loro autenticità, grigia quanto quotidiana, senza bisogno di forzature e drammatizzazioni, e risparmia allo spettatore una "dardennizzazione" che a volte risulta eccessiva: per quanto possa risultare sgradevole e lasciare la bocca amara, merita di essere visto perché racconta una verità che si preferisce rimuovere.
Non riesco oggi a reperire il dato preciso però, tenuto conto del numero degli espulsi dal lavoro per identiche motivazioni (ristrutturazioni aziendali, cessazioni, ecc.), e del numero complessivo dei disoccupati UE, direi che la "...nell'UE si trovano ormai centinaia di migliaia di persone..." è ottimista.
RispondiEliminaTendo a pensare siano milioni, le persone che vivono condizioni uguali in tutto e per tutto a quelle che descrive il film.
Secondo Eurostat i disoccupati "ufficiali" in ambito UE sono a settembre 2015 circa 23 milioni (vedi link sotto) ai quali però bisogna aggiungere gli innoccupati, cioè quelli che non sono iscritti ad alcun elenco e quindi non compaiono e i sotto occupati. La cifra reale secondo alcuni si avvicina ai 45 milioni solo in ambito comunitario.
RispondiEliminaConosco bene la situazione illustrata dal film, comune a tanti che conosco più o meno coetani che hanno perso il lavoro o con un posto di lavoro a rischio che, in caso di chiusura, si troverebbero sicuramente ad affrontare gli analoghi problemi del protagonista, soprattutto grazie a quella certa riforma pensionistica che sappiamo.
Mandi.
Raffaele
http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Unemployment_statistics
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/16/germania-ecco-come-e-cresciuta-abbassando-i-salari-ed-esportando-debito-e-disoccupazione-nel-resto-della-ue/2132429/