The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese. Con Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Matthew McConaughey, Kyle Chandler, Rob Reiner, Jean Dujardin, Jon Favreau e altri. Usa 2013 ★★★★★
Difficile superare sé stesso, però Martin Scorsese c'è riuscito, confezionando una commedia dark che rasenta il capolavoro e dando la stura a una performance superba da parte di Leonardo DiCaprio, un mattatore perennemente sulla scena dal primo all'ultimo di 180 incalzanti, scoppiettanti e a tratti indemoniati minuti di pellicola, durante i quali è impossibile annoiarsi, e con momenti di rara comicità, che non trae origine da gag studiate a tavolino ma da una sceneggiatura basata su una vicenda reale che ha come protagonista un personaggio in carne e ossa, Jordan Belfort, ex broker di borsa newyorkese dalla carriera fulminea (in cui ha guadagnato oltre 60 milioni di dollari truffando migliaia di babbioni giocando sulla loro avidità finanziaria) e dal crollo altrettanto fragoroso, conclusasi con la collaborazione con il FBI che lo aveva alla fine pizzicato e con 22 mesi di carcere. Riuscì comunque a trarne profitto, scrivendo l'autobiografia da qui è tratta la sceneggiatura del film e ora vive in California e tiene conferenza e stages in cui insegna le sue "tecniche di vendita" ad altri babbioni paganti. Per la serie: la madre dei cretini (e degli avidi) è sempre incinta. Il film di Scorsese dice di più non solo sulla finanza pervertita ma sul "Mito Americano" di tutta una lunga serie di pellicole, anche ottime, su Wall Street proprio perché descrive, come meglio non potrebbe, ciò che ne è la forza motrice: la belluina, irrefrenabile fame di denaro a qualsiasi costo, col suo corollario di sesso, lusso, potere, vizio, perversione, impersonata da Belfort/DiCaprio e dal suo socio Donnie/Hill. Una fame da lupi, wolves per l'appunto, un vitalismo animale ed esagerato di cui è simbolo anche il leone della Stratton Oakmont, l'agenzia di brokeraggio fondata da Belfort dopo il "lunedì nero" del 19 ottobre 1987 (giorno del suo primo ingresso a Wall Street come agente di borsa - non a caso simboleggiata da toro e orso - da cui fu subito espulso in seguito al crollo) che segnò il suo riscatto e l'ascesa nell'Olimpo della grande finanza. Che Scorsese, da buon newyorkese, conosce da vicino, e a cuì non fa nessuno sconto: ma non è tanto questa l'anima del film, quanto l'individualismo sfrenato, la mancanza di senso del limite, l'arroganza infinita, la cialtroneria, la volgarità, e la grettezza, in fin dei conti l'infantilismo inguaribile alla base dell'American Dream e dell'edonismo reaganiano che ne fu, negli anni Ottanta, una delle massime espressioni e di cui ancora scontiamo, a livello globale, le nefaste influenze e conseguenze. Tutto è perfetto nella cavalcata che Scorsese fa per raccontare la vita ossessiva del suo personaggio: il ritmo, una sceneggiatura che non perde un colpo, l'ambientazione, la colonna sonora, la scelta degli interpreti, tutti senza esclusione alcuna, la fotografia. Tre ore sono niente e potrebbero essere anche sei: non ci si stanca. E si esce dalla sala appagati. O almeno è ciò che è capitato a me. Grazie, Maestro!
Difficile superare sé stesso, però Martin Scorsese c'è riuscito, confezionando una commedia dark che rasenta il capolavoro e dando la stura a una performance superba da parte di Leonardo DiCaprio, un mattatore perennemente sulla scena dal primo all'ultimo di 180 incalzanti, scoppiettanti e a tratti indemoniati minuti di pellicola, durante i quali è impossibile annoiarsi, e con momenti di rara comicità, che non trae origine da gag studiate a tavolino ma da una sceneggiatura basata su una vicenda reale che ha come protagonista un personaggio in carne e ossa, Jordan Belfort, ex broker di borsa newyorkese dalla carriera fulminea (in cui ha guadagnato oltre 60 milioni di dollari truffando migliaia di babbioni giocando sulla loro avidità finanziaria) e dal crollo altrettanto fragoroso, conclusasi con la collaborazione con il FBI che lo aveva alla fine pizzicato e con 22 mesi di carcere. Riuscì comunque a trarne profitto, scrivendo l'autobiografia da qui è tratta la sceneggiatura del film e ora vive in California e tiene conferenza e stages in cui insegna le sue "tecniche di vendita" ad altri babbioni paganti. Per la serie: la madre dei cretini (e degli avidi) è sempre incinta. Il film di Scorsese dice di più non solo sulla finanza pervertita ma sul "Mito Americano" di tutta una lunga serie di pellicole, anche ottime, su Wall Street proprio perché descrive, come meglio non potrebbe, ciò che ne è la forza motrice: la belluina, irrefrenabile fame di denaro a qualsiasi costo, col suo corollario di sesso, lusso, potere, vizio, perversione, impersonata da Belfort/DiCaprio e dal suo socio Donnie/Hill. Una fame da lupi, wolves per l'appunto, un vitalismo animale ed esagerato di cui è simbolo anche il leone della Stratton Oakmont, l'agenzia di brokeraggio fondata da Belfort dopo il "lunedì nero" del 19 ottobre 1987 (giorno del suo primo ingresso a Wall Street come agente di borsa - non a caso simboleggiata da toro e orso - da cui fu subito espulso in seguito al crollo) che segnò il suo riscatto e l'ascesa nell'Olimpo della grande finanza. Che Scorsese, da buon newyorkese, conosce da vicino, e a cuì non fa nessuno sconto: ma non è tanto questa l'anima del film, quanto l'individualismo sfrenato, la mancanza di senso del limite, l'arroganza infinita, la cialtroneria, la volgarità, e la grettezza, in fin dei conti l'infantilismo inguaribile alla base dell'American Dream e dell'edonismo reaganiano che ne fu, negli anni Ottanta, una delle massime espressioni e di cui ancora scontiamo, a livello globale, le nefaste influenze e conseguenze. Tutto è perfetto nella cavalcata che Scorsese fa per raccontare la vita ossessiva del suo personaggio: il ritmo, una sceneggiatura che non perde un colpo, l'ambientazione, la colonna sonora, la scelta degli interpreti, tutti senza esclusione alcuna, la fotografia. Tre ore sono niente e potrebbero essere anche sei: non ci si stanca. E si esce dalla sala appagati. O almeno è ciò che è capitato a me. Grazie, Maestro!
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