"Il tocco del peccato" (Tian Zhu Ding) di Jia Zhang-Ke. Con Zhao Tao, Jiang Wu, Wang Baoqiang, Lanshan Luo e altri. Cina, Giappone 2013 ★★★★
Con "Il tocco del peccato" Jia Zhang-Ke racconta e denuncia, con estrema efficacia, le contraddizioni del vertiginoso sviluppo in senso capitalistico della società cinese, il divario sempre più abissale tra ricchi e poveri, città e campagne, la destrutturazione della società e dei rapporti umani nonché della psiche dell'individuo. Lo aveva già fatto con un film intimista come Still Life, vincitore del Leone d'Oro nel 2006, e lo rifà qui, con crudo realismo, attraverso quattro storie di "ordinaria follia" che scandiscono, 30' l'uno, la pellicola, tratte da fatti realmente accaduti e in qualche modo collegati tra loro, tre casi di omicidio particolarmente efferati e uno, emblematico, di suicidio, esemplari del disagio che cova nel Paese a causa dello tsunami provocato da uno sviluppo e ritmi folli e a ogni costo, totalmente squilibrato prima ancora che insensato. Nel primo è all'opera una specie di "eroe proletario", intenzionato a denunciare al partito le ruberie perpetrate dai dirigenti della miniera del villaggio dove vive e lavora che, dapprima ignorato, poi "avvertito", picchiato e umiliato, imbraccia un fucile da caccia e si fa giustizia da solo accoppando responsabili e complici; nel secondo si tratta di un giovane capofamiglia che non riesce più a sostenere la dimensione rurale, sempre più minacciata dall'incombere della città-monstre, e all'insaputa del parentado, cui manda puntualmente le rimesse delle sue "attività", va in giro ammazzando gente con una pistola automatica un po' "per lavoro", rapinandola, e un po' per noia esistenziale; nel terzo protagonista è una receptionist di una sauna equivoca, interpretata dall'impeccabile Zhao Tao, moglie del regista e già apprezzata e premiata in Italia per la parte principale in Io sono Li di Andrea Segre che, frustrata nel tentativo di dare una svolta alla propria esistenza (si è innamorata di un uomo già sposato che non si decide a divorziare), è vittima di molestie sessuali da parte di due clienti che la scambiano per una prostituta, cui reagisce in maniera smisurata in preda a una furia letale: qui l'arma è un coltello; nell'ultimo episodio, infine, l'attenzione si sposta nella città industriale di Dongguan, nel Sud della Cina, dove un ragazzo, precarizzato come decine di milioni di suoi coetanei, cambia lavori in continuazione, penultimo dei quali come cameriere in un locale ambiguo dove di fatto si pratica la prostituzione e dove si innamora di una giovane escort; resosi conto dell'impossibilità della relazione con la ragazza, finisce in una fabbrica tipo Foxconn o Petagron, dove invece di usare l'arma di cui è dotato, un bastone acuminato, contro di sé, si butta da un terrazzo della casa-termitaio in cui gli tocca convivere con altri disgraziati come lui. Non stupisce che una pellicola simile, che racconta in maniera esemplare ma al contempo cinematograficamente spettacolare la realtà cinese contemporanea sia stata bloccata e boicottata in patria; vale la pena vederla quindi non soltanto per il suo valore "documentario" ma anche di intrattenimento: impeccabile la sceneggiatura, premiata a Cannes, convincenti gli interpreti, ottime regia e fotografia, non mancano effetti "tarantiniani", e non è casuale la presenza del grande Takeshi Kitano come produttore.
Con "Il tocco del peccato" Jia Zhang-Ke racconta e denuncia, con estrema efficacia, le contraddizioni del vertiginoso sviluppo in senso capitalistico della società cinese, il divario sempre più abissale tra ricchi e poveri, città e campagne, la destrutturazione della società e dei rapporti umani nonché della psiche dell'individuo. Lo aveva già fatto con un film intimista come Still Life, vincitore del Leone d'Oro nel 2006, e lo rifà qui, con crudo realismo, attraverso quattro storie di "ordinaria follia" che scandiscono, 30' l'uno, la pellicola, tratte da fatti realmente accaduti e in qualche modo collegati tra loro, tre casi di omicidio particolarmente efferati e uno, emblematico, di suicidio, esemplari del disagio che cova nel Paese a causa dello tsunami provocato da uno sviluppo e ritmi folli e a ogni costo, totalmente squilibrato prima ancora che insensato. Nel primo è all'opera una specie di "eroe proletario", intenzionato a denunciare al partito le ruberie perpetrate dai dirigenti della miniera del villaggio dove vive e lavora che, dapprima ignorato, poi "avvertito", picchiato e umiliato, imbraccia un fucile da caccia e si fa giustizia da solo accoppando responsabili e complici; nel secondo si tratta di un giovane capofamiglia che non riesce più a sostenere la dimensione rurale, sempre più minacciata dall'incombere della città-monstre, e all'insaputa del parentado, cui manda puntualmente le rimesse delle sue "attività", va in giro ammazzando gente con una pistola automatica un po' "per lavoro", rapinandola, e un po' per noia esistenziale; nel terzo protagonista è una receptionist di una sauna equivoca, interpretata dall'impeccabile Zhao Tao, moglie del regista e già apprezzata e premiata in Italia per la parte principale in Io sono Li di Andrea Segre che, frustrata nel tentativo di dare una svolta alla propria esistenza (si è innamorata di un uomo già sposato che non si decide a divorziare), è vittima di molestie sessuali da parte di due clienti che la scambiano per una prostituta, cui reagisce in maniera smisurata in preda a una furia letale: qui l'arma è un coltello; nell'ultimo episodio, infine, l'attenzione si sposta nella città industriale di Dongguan, nel Sud della Cina, dove un ragazzo, precarizzato come decine di milioni di suoi coetanei, cambia lavori in continuazione, penultimo dei quali come cameriere in un locale ambiguo dove di fatto si pratica la prostituzione e dove si innamora di una giovane escort; resosi conto dell'impossibilità della relazione con la ragazza, finisce in una fabbrica tipo Foxconn o Petagron, dove invece di usare l'arma di cui è dotato, un bastone acuminato, contro di sé, si butta da un terrazzo della casa-termitaio in cui gli tocca convivere con altri disgraziati come lui. Non stupisce che una pellicola simile, che racconta in maniera esemplare ma al contempo cinematograficamente spettacolare la realtà cinese contemporanea sia stata bloccata e boicottata in patria; vale la pena vederla quindi non soltanto per il suo valore "documentario" ma anche di intrattenimento: impeccabile la sceneggiatura, premiata a Cannes, convincenti gli interpreti, ottime regia e fotografia, non mancano effetti "tarantiniani", e non è casuale la presenza del grande Takeshi Kitano come produttore.
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