"Smetto quando voglio / Meglio ricercati che ricercatori" di Sydney Sibilia. Con Edoardo Leo, Valeria Solarino, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero de Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti, Neri Marcorè. Italia, 2013 ★★★★
Molto incoraggiante l'esordio nel lungometraggio da parte di Sydney Sibilia, 33enne regista salernitano, che confezione una commedia all'italiana non banale, decisamente divertente, girata con ottimo ritmo e una fotografia efficace e accattivante, che si riallaccia alla tradizione migliore saltandone a pie' pari gli epigoni più sfiatati e poveri di idee. Lo spunto è tratto dalla realtà, ovvero dalla situazione disastrosa dell'università italiana, divelta dalla baronia post sessantottina che ha sostituito, in peggio, quella che l'ha preceduta e pronta a trasformarsi nella gerontocrazia che domina anche la vita politica, in cui le intelligenze migliori sono espulse o messe nelle condizioni di non lavorare, con le conseguenze che conosciamo nel campo della ricerca. Salvo scegliere la via dell'emigrazione, sono costrette a un umiliante precariato, a meno di non fare come il 37enne Pietro Zinni (Edoardo Leo), costretto a integrare con ripetizioni private un modesto assegno di ricerca per uno studio estremamente promettente, e quando questo non gli viene rinnovato insieme a un collega (un bravissimo Stefano Fresi, ottimo musicista e, a tempo perso, attore) ridotto a fare i lavapiatti in un ristorante cinese, riesce a trovare il modo di sintetizzare la molecola per un nuovo stupefacente che non rientra ancora tra quelli che catalogati come sostanze vietate dal ministero della Salute, e che non risulta pertanto illegale, mentre lo è lo lo spaccio, per il quale inventano sistemi curiosi e assemblano una banda di brillanti laureati ed ex ricercatori sul lastrico e costretti al precariato, e il profitto che ne deriva. Le conseguenze sulle loro vite e i loro rapporti personali sono esilaranti quanto la smart drug che smerciano, alla faccia delle intenzioni di non farsi notare, e naturalmente vengono smascherati sia dalla concorrenza (anch'essa, si scoprirà, in mano a un personaggio sorprendente) sia dalla polizia. Finisce con un rétour à la normale, ossia al precariato, salvo per Zinni, che patteggia la pena assumendosi tutte le responsabilità, e preferirà rimanere in carcere nonostante possa avanzare richiesta di libertà anticipata perché e ha trovato un lavoro e uno stipendio sicuro che possa tamponare le pretese di una fidanzata ottusamente perbenista: insegnare chimica ai detenuti a caccia di diploma. Buona parte del merito della riuscita del film va a un cast felicemente assortito e bene affiatato, dove soltanto la Solarino (la figa de legn di cui sopra) risulta, per l'appunto, piuttosto legnosa, ma forse la sceneggiatura la voleva proprio così e lei non ha fatto fatica ad adeguarsi. Le premesse sono buone, la speranza è che Sibilia continui su questa strada.
Molto incoraggiante l'esordio nel lungometraggio da parte di Sydney Sibilia, 33enne regista salernitano, che confezione una commedia all'italiana non banale, decisamente divertente, girata con ottimo ritmo e una fotografia efficace e accattivante, che si riallaccia alla tradizione migliore saltandone a pie' pari gli epigoni più sfiatati e poveri di idee. Lo spunto è tratto dalla realtà, ovvero dalla situazione disastrosa dell'università italiana, divelta dalla baronia post sessantottina che ha sostituito, in peggio, quella che l'ha preceduta e pronta a trasformarsi nella gerontocrazia che domina anche la vita politica, in cui le intelligenze migliori sono espulse o messe nelle condizioni di non lavorare, con le conseguenze che conosciamo nel campo della ricerca. Salvo scegliere la via dell'emigrazione, sono costrette a un umiliante precariato, a meno di non fare come il 37enne Pietro Zinni (Edoardo Leo), costretto a integrare con ripetizioni private un modesto assegno di ricerca per uno studio estremamente promettente, e quando questo non gli viene rinnovato insieme a un collega (un bravissimo Stefano Fresi, ottimo musicista e, a tempo perso, attore) ridotto a fare i lavapiatti in un ristorante cinese, riesce a trovare il modo di sintetizzare la molecola per un nuovo stupefacente che non rientra ancora tra quelli che catalogati come sostanze vietate dal ministero della Salute, e che non risulta pertanto illegale, mentre lo è lo lo spaccio, per il quale inventano sistemi curiosi e assemblano una banda di brillanti laureati ed ex ricercatori sul lastrico e costretti al precariato, e il profitto che ne deriva. Le conseguenze sulle loro vite e i loro rapporti personali sono esilaranti quanto la smart drug che smerciano, alla faccia delle intenzioni di non farsi notare, e naturalmente vengono smascherati sia dalla concorrenza (anch'essa, si scoprirà, in mano a un personaggio sorprendente) sia dalla polizia. Finisce con un rétour à la normale, ossia al precariato, salvo per Zinni, che patteggia la pena assumendosi tutte le responsabilità, e preferirà rimanere in carcere nonostante possa avanzare richiesta di libertà anticipata perché e ha trovato un lavoro e uno stipendio sicuro che possa tamponare le pretese di una fidanzata ottusamente perbenista: insegnare chimica ai detenuti a caccia di diploma. Buona parte del merito della riuscita del film va a un cast felicemente assortito e bene affiatato, dove soltanto la Solarino (la figa de legn di cui sopra) risulta, per l'appunto, piuttosto legnosa, ma forse la sceneggiatura la voleva proprio così e lei non ha fatto fatica ad adeguarsi. Le premesse sono buone, la speranza è che Sibilia continui su questa strada.
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