"I segreti di Osage County" (August: Osage County) di John Wells. Con Meryl Streep, Julia Roberts, Chris Cooper, Ewan McGregor, Abigail Breslin, Benedict Cumberbatch, Juliette Lewis, Margo Martindale, Dermot Mulroney, Julianne Nicholson, Sam Shepard. USA 2013 ★★★★★
Alla faccia dei tanto osannati fratelli Coen, beniamini della pseudocritica conformista, intellettualoide e luogocomunista, e prescindendo dal "fuori categoria" Scorsese, è questo "filmone" la vera sorpresa del recente cinema autoriale a stelle e strisce, e l'uscita pressoché in contemporanea nelle nostre sale ne consente un confronto che risulta impietoso, a tutti i livelli, con l'involuto, pretenzioso e pallosissimo "A proposito di Davis". Il cui cast per intero dovrebbe prendere lezione per qualche anno da quello, senza eccezione alcuna, assemblato da John Wells e capitanato da una Meryl Streep da urlo, così come per una sceneggiatura incalzante e precisa i due Coen potrebbero ispirarsi a quelle di Tracy Letts, che quando colpisce, lascia il segno: sua anche quella di Killer Joe, ed entrambe tratte da pluripremiate e sperimentate versioni teatrali. Siamo in una cittadina dalle parti di Tulsa (Tulsa Time di Eric Clapton la colonna sonora), nelle Grandi Pianure (in gran parte desertiche) dell'Oklahoma, già terra di frontiera strappata ai "nativi" da pionieri duri e senza scrupoli, e la vicenda si svolge nell'ambito famigliare di una coppia di discendenti di questi ultimi. Hanno acquisito un alto livello culturale e il benessere ma non perso certe asprezze di carattere: Beverly è un poeta nonché professore universitario, Violet una donna intelligente ancorché psicotica e un autentico monumento alla stronzaggine, e il matrimonio regge negli anni per un patto esplicito: lei lo lascia bere e lui le consente di impasticcarsi di psicofarmaci. Hanno tre figlie, che vengono convocate perché, per motivi imprecisati, il capofamiglia sparisce. Come già accaduto in precedenza, ma questa volta è diverso perché verrà ritrovato cadavere in un lago, probabilmente suicida. Quella che si svolge durante le ricerche e poi dopo le esequie di Beverly non è una semplice riunione di famiglia, ma un autentico, violento psicodramma, quasi un thriller, che si dipana man mano che attraverso un serrato confronto dialettico tra tutte le parti, compresi la sorella della "matriarca", i coniugi e i figli delle varie parti in causa, si svelano tutti i "cadaveri nell'armadio" dei "parenti serpenti" di monicelliana memoria. Tralascio di svelare ulteriormente la trama per non togliere il gusto dei colpi di scena che si susseguono in un film dove ogni parola, ogni silenzio, ogni immagine, ogni espressione dei magnifici interpreti, ribadisco senza alcuna eccezione, hanno un significato potente, anche se il duello tra Meryl Streep e Julia Roberts, un'attrice che non sempre mi convince ma qui dimostra di essere tra le grandi, fra madre e figlia, è da antologia del cinema. Un film che sarebbe piaciuto, dimostrandone le teorie, al maestro dell'antipsichiatria David Cooper e, dalle nostre parti, a Franco Basaglia. A me ha entusiasmato e non posso che raccomandarlo. Certo non è rasserenante, ma riguarda chiunque: tutti abbiamo una famiglia con cui fare i conti. La sua presenza, o assenza, e i legami che ne derivano non sono mai neutri: volenti o nolenti ne portiamo addosso le conseguenze.
Alla faccia dei tanto osannati fratelli Coen, beniamini della pseudocritica conformista, intellettualoide e luogocomunista, e prescindendo dal "fuori categoria" Scorsese, è questo "filmone" la vera sorpresa del recente cinema autoriale a stelle e strisce, e l'uscita pressoché in contemporanea nelle nostre sale ne consente un confronto che risulta impietoso, a tutti i livelli, con l'involuto, pretenzioso e pallosissimo "A proposito di Davis". Il cui cast per intero dovrebbe prendere lezione per qualche anno da quello, senza eccezione alcuna, assemblato da John Wells e capitanato da una Meryl Streep da urlo, così come per una sceneggiatura incalzante e precisa i due Coen potrebbero ispirarsi a quelle di Tracy Letts, che quando colpisce, lascia il segno: sua anche quella di Killer Joe, ed entrambe tratte da pluripremiate e sperimentate versioni teatrali. Siamo in una cittadina dalle parti di Tulsa (Tulsa Time di Eric Clapton la colonna sonora), nelle Grandi Pianure (in gran parte desertiche) dell'Oklahoma, già terra di frontiera strappata ai "nativi" da pionieri duri e senza scrupoli, e la vicenda si svolge nell'ambito famigliare di una coppia di discendenti di questi ultimi. Hanno acquisito un alto livello culturale e il benessere ma non perso certe asprezze di carattere: Beverly è un poeta nonché professore universitario, Violet una donna intelligente ancorché psicotica e un autentico monumento alla stronzaggine, e il matrimonio regge negli anni per un patto esplicito: lei lo lascia bere e lui le consente di impasticcarsi di psicofarmaci. Hanno tre figlie, che vengono convocate perché, per motivi imprecisati, il capofamiglia sparisce. Come già accaduto in precedenza, ma questa volta è diverso perché verrà ritrovato cadavere in un lago, probabilmente suicida. Quella che si svolge durante le ricerche e poi dopo le esequie di Beverly non è una semplice riunione di famiglia, ma un autentico, violento psicodramma, quasi un thriller, che si dipana man mano che attraverso un serrato confronto dialettico tra tutte le parti, compresi la sorella della "matriarca", i coniugi e i figli delle varie parti in causa, si svelano tutti i "cadaveri nell'armadio" dei "parenti serpenti" di monicelliana memoria. Tralascio di svelare ulteriormente la trama per non togliere il gusto dei colpi di scena che si susseguono in un film dove ogni parola, ogni silenzio, ogni immagine, ogni espressione dei magnifici interpreti, ribadisco senza alcuna eccezione, hanno un significato potente, anche se il duello tra Meryl Streep e Julia Roberts, un'attrice che non sempre mi convince ma qui dimostra di essere tra le grandi, fra madre e figlia, è da antologia del cinema. Un film che sarebbe piaciuto, dimostrandone le teorie, al maestro dell'antipsichiatria David Cooper e, dalle nostre parti, a Franco Basaglia. A me ha entusiasmato e non posso che raccomandarlo. Certo non è rasserenante, ma riguarda chiunque: tutti abbiamo una famiglia con cui fare i conti. La sua presenza, o assenza, e i legami che ne derivano non sono mai neutri: volenti o nolenti ne portiamo addosso le conseguenze.
Dovrò per forza, dopo aver letto la citazione finale di David Cooper, riprendere in mano Grammatica del vivere.
RispondiEliminaHo questa fissazione che si trovino a volte indicazioni ("segni") qui e là sparsi, di cui bisogna tener conto.
Una recensione su un film, che descrive con rudezza oki le dinamiche famigliari, che mi termina con la citazione di quello che scrisse "La paura più grande è quella di amare ed essere amati", merita un approfondimento.
Prima, di vedere il film, che intuisco catartico.