"I figli della mezzanotte" (Midnight's Children) di Deepa Mehta. Con Satya Bhabha, Shahana Goswani, Shabana Azni, Rajat Kapoor, Seema Biswas e altri. Canada, Gran Bretagna 2012 ★★★★
Tratto dall'omonimo romanzo di Salman Rushdie, che ho amato moltissimo, e sceneggiato dallo stesso scrittore, questo film pieno di vita, suggestioni e colori riesce a evocare l'originale senza tradirlo e senza cadere mai nel folkloristico e nel luogo comune. E' Salman Rushdie stesso che, dando la voce a Shalem Sinai, nato alla mezzanotte del 15 agosto del 1947, al momento stesso in cui l'India proclamò la propria indipendenza, narra le vicende tragicomiche della propria esistenza che diventano così metafora delle vicende della sua patria, per essere precisi delle sue due patrie, perché c'è anche il Pakistan. Shalem, nato da una coppia di musici-mendicanti, viene scambiato nella culla da un'infermiera, convinta di compiere un atto di giustizia sociale, con Shiva, erede di una famiglia benestante, e da lì prende il via un racconto poetico quanto ironico in forma di favola ma anche molto reale e sensuale, ricco di riferimenti filosofici e politici quanto di humour, che scorre piacevolmente lungo due ore e mezzo senza annoiare e senza essere né inutilmente arzigogolato e compiaciuto né scontato. Filo conduttore, la capacità di Shalem di chiamare a raccolta nella propria mente tutti gli altri "figli della mezzanotte", nati come lui nel momento in cui l'India ha riconquistato la propria libertà, e tutti dotati di capacità speciali: chi la forza, chi l'invisibilità, chi di viaggiare nel tempo, ma nessuno con la capacità di autentica empatia nei confronti del prossimo, quasi una sorta di telepatia come il protagonista. Regia impeccabile dell'Indo-canadese Deepa Mehta, lontana dal genere "bollywoodiano" per cui va famosa la cinematografia del subcontinente, benché gli interpreti siano tutti delle stelle di prima grandezza in patria, per un film a mio parere sottovalutato dalla critica e che sembra non raccogliere il successo che si merita, ed è un peccato.
Tratto dall'omonimo romanzo di Salman Rushdie, che ho amato moltissimo, e sceneggiato dallo stesso scrittore, questo film pieno di vita, suggestioni e colori riesce a evocare l'originale senza tradirlo e senza cadere mai nel folkloristico e nel luogo comune. E' Salman Rushdie stesso che, dando la voce a Shalem Sinai, nato alla mezzanotte del 15 agosto del 1947, al momento stesso in cui l'India proclamò la propria indipendenza, narra le vicende tragicomiche della propria esistenza che diventano così metafora delle vicende della sua patria, per essere precisi delle sue due patrie, perché c'è anche il Pakistan. Shalem, nato da una coppia di musici-mendicanti, viene scambiato nella culla da un'infermiera, convinta di compiere un atto di giustizia sociale, con Shiva, erede di una famiglia benestante, e da lì prende il via un racconto poetico quanto ironico in forma di favola ma anche molto reale e sensuale, ricco di riferimenti filosofici e politici quanto di humour, che scorre piacevolmente lungo due ore e mezzo senza annoiare e senza essere né inutilmente arzigogolato e compiaciuto né scontato. Filo conduttore, la capacità di Shalem di chiamare a raccolta nella propria mente tutti gli altri "figli della mezzanotte", nati come lui nel momento in cui l'India ha riconquistato la propria libertà, e tutti dotati di capacità speciali: chi la forza, chi l'invisibilità, chi di viaggiare nel tempo, ma nessuno con la capacità di autentica empatia nei confronti del prossimo, quasi una sorta di telepatia come il protagonista. Regia impeccabile dell'Indo-canadese Deepa Mehta, lontana dal genere "bollywoodiano" per cui va famosa la cinematografia del subcontinente, benché gli interpreti siano tutti delle stelle di prima grandezza in patria, per un film a mio parere sottovalutato dalla critica e che sembra non raccogliere il successo che si merita, ed è un peccato.
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