"On the Road" di Walter Selles. Con Sam Riley, Garrett Hedlund, Kristen Stewart, Kirsten Dunst, Viggo Mortensen. USA 2012 ★ ½
Ancora la dimostrazione, ove ve ne fosse stato bisogno, che è difficilissimo trarre un grande film da un grande libro, a meno di non essere dei grandi registi, lavorare su una sceneggiatura eccellente e disporre degli attori giusti. Tutti ingredienti che mancano a questo film che si limita a "ispirarsi" all'omonimo romanzo di Jack Kerouac, ma di cui sono riconoscibili situazioni e personaggi, a cominciare da Allen Ginsberg rivisitato in chiave macchiettistica e William Borroughs interpretato da un Viggo Mortensen più irritante che mai. La storia ruota attorno al rapporto tra Sal Paradiso, che con un cognome simile non si capisce a quale titolo interloquisca con la madre in québécois, aspirante scrittore newyorkese, il quale alla morte del padre intraprende un viaggio "sulla strada" attraverso gli States, e Dean Moriarty, un giovane sciupafemmine belloccio quanto cretino e irresponsabile, che il padre se l'è "perso" a Denver e non si è mai deciso a ritrovarlo, suo esatto contrario con cui però si completa alla perfezione. Di contorno la giovanissima moglie di Dean, Marylou, che ama le trasgressioni e i rapporti a tre, da cui Dean divorzia per la borghese Camille, una Kirsten Dunst insipida e sciatta in modo indisponente, trasferendosi a San Francisco: ma non lascia mai del tutto Marylou né rinuncia a fare il ragazzino, incapace com'è di crescere. E' tutto un muoversi e ritrovarsi, tra una sbronza e l'altra, un giro di mescalina e una fumata di erba, con contorno di concerti jazz scatenati, discorsi stralunati, situazioni inverosimili e velleitarismo a nastro. Il film si salva in parte per l'ambientazione d'epoca e le belle macchine, quelle sì, della fine degli anni Quaranta-inizio Cinquanta, quando non erano ancora fatte di plastica. La vena registica del brasiliano Walter Selles dà l'impressione di essere in calando: dal sorprendente "Central do Brasil" dell'ormai lontano 1998 ai "Diari della motocicletta" (tratti da quelli di Che Guevara) sempre di viaggio si tratta, ma scivolando verso il basso. Un film inutile, prima ancora che banale, di cui per primi non devono essere stati persuasi gli interpreti, tanto poco sono credibili e convincenti, e come se non bastasse prolisso e lento in maniera esasperante, il che per un film "On the Road" è davvero il colmo.
Ancora la dimostrazione, ove ve ne fosse stato bisogno, che è difficilissimo trarre un grande film da un grande libro, a meno di non essere dei grandi registi, lavorare su una sceneggiatura eccellente e disporre degli attori giusti. Tutti ingredienti che mancano a questo film che si limita a "ispirarsi" all'omonimo romanzo di Jack Kerouac, ma di cui sono riconoscibili situazioni e personaggi, a cominciare da Allen Ginsberg rivisitato in chiave macchiettistica e William Borroughs interpretato da un Viggo Mortensen più irritante che mai. La storia ruota attorno al rapporto tra Sal Paradiso, che con un cognome simile non si capisce a quale titolo interloquisca con la madre in québécois, aspirante scrittore newyorkese, il quale alla morte del padre intraprende un viaggio "sulla strada" attraverso gli States, e Dean Moriarty, un giovane sciupafemmine belloccio quanto cretino e irresponsabile, che il padre se l'è "perso" a Denver e non si è mai deciso a ritrovarlo, suo esatto contrario con cui però si completa alla perfezione. Di contorno la giovanissima moglie di Dean, Marylou, che ama le trasgressioni e i rapporti a tre, da cui Dean divorzia per la borghese Camille, una Kirsten Dunst insipida e sciatta in modo indisponente, trasferendosi a San Francisco: ma non lascia mai del tutto Marylou né rinuncia a fare il ragazzino, incapace com'è di crescere. E' tutto un muoversi e ritrovarsi, tra una sbronza e l'altra, un giro di mescalina e una fumata di erba, con contorno di concerti jazz scatenati, discorsi stralunati, situazioni inverosimili e velleitarismo a nastro. Il film si salva in parte per l'ambientazione d'epoca e le belle macchine, quelle sì, della fine degli anni Quaranta-inizio Cinquanta, quando non erano ancora fatte di plastica. La vena registica del brasiliano Walter Selles dà l'impressione di essere in calando: dal sorprendente "Central do Brasil" dell'ormai lontano 1998 ai "Diari della motocicletta" (tratti da quelli di Che Guevara) sempre di viaggio si tratta, ma scivolando verso il basso. Un film inutile, prima ancora che banale, di cui per primi non devono essere stati persuasi gli interpreti, tanto poco sono credibili e convincenti, e come se non bastasse prolisso e lento in maniera esasperante, il che per un film "On the Road" è davvero il colmo.
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