E' morto a Londra a 95 anni Eric Hobswbawm, nato Obstbaum ad Alessandria d'Egitto il 9 giugno del 1917 da una famiglia austro-ebraica. Storico di formazione marxista, mai dogmatico, il titolo di uno dei suoi più famosi lavori, "Il secolo breve", fu la definizione più fulminante e precisa del XX Secolo mentre il XIX, cui dedicò una trilogia fondamentale, lo chiamava il "secolo lungo", datandolo dalla Rivoluzione Francese del 1789 allo scoppio della Grande Guerra nel 1914. Unanimemente riconosciuto il maggiore storico britannico e uno dei più importanti al mondo, ha influenzato intere generazioni di studiosi, di semplici appassionati e di persone che volevano farsi un'idea degli argomenti che trattava, sempre con uno stile piacevolissimo, vivace, arguto, così com'era lui di persona, con uno sguardo entusiasta e curioso da bambino e un sorriso eternamente sulle labbra anche quando era ormai pressoché immobilizzato dalla vecchiaia. Spirito libero, era un appassionato di musica jazz e non disdegnava il pop, di cui scriveva anche. Voglio ricordarlo con l'ultima parte di un'intervista che aveva rilasciato a Wlodek Goldkorn per L'Espresso nel maggio scorso e che trovate nella versione integrale qui. Se volete un "coccodrillo" come si deve, quello del Guardian di oggi è esemplare. Viveva a Highgate, presso Londra, nel cui cimitero è sepolto Karl Marx. Chissà se riposerà a fianco del suo mai rinnegato maestro!
[...]«Intanto in Occidente abbiamo i banchieri centrali che ci dicono cosa fare. Si parla di conti, numeri, ma non dei desideri degli umani e del loro futuro. Si può andare avanti così?
"A lungo termine, no. Ma sono convinto che il vero problema sia un altro: l'asimmetria della globalizzazione. Certe cose sono globalizzate, altre super-globalizzate, altre non sono state globalizzate. E una delle cose che non lo sono state è la politica. Le istituzioni che decidono di politica sono gli Stati territoriali. Rimane quindi aperta la questione come trattare problemi globali, senza uno Stato globale, senza un'unità globale. E questo riguarda non solo l'economia, ma anche la più grande sfida dell'esistente, quella ambientale. Uno degli aspetti della nostra vita che Marx non ha visto è l'esaurimento delle risorse naturali. E non intendo l'oro o il petrolio. Prendiamo l'acqua. Se i cinesi dovessero usare la metà dell'acqua pro capite utilizzata dagli americani non ce ne sarebbe abbastanza nel mondo. Sono sfide dove le soluzioni locali sono inutili, se non a livello simbolico".
C'è un rimedio?
"Sì, a patto che si capisca che l'economia non è fine a se stessa, ma riguarda gli esseri umani. Lo si vede osservando l'andamento della crisi in atto. Secondo le antiquate credenze della sinistra la crisi dovrebbe produrre rivoluzioni. Che non si vedono (se non qualche protesta degli indignati). E siccome non sappiamo neanche quali sono i problemi che stanno per sorgere, non possiamo nemmeno sapere quali saranno le soluzioni".
Può fare qualche previsione comunque?
"E' estremamente poco probabile che la Cina diventi una democrazia parlamentare. E' poco probabile che i militari perdano tutto il loro potere nella maggior parte degli Stati islamici".
Lei ha sostenuto la necessità di arrivare a una specie di economia mista, tra pubblico e privato.
"Guardi la storia. L'Urss ha tentato di eliminare il settore privato: ed è stata una sonora sconfitta. Dall'altro lato, il tentativo ultraliberista è pure miseramente fallito. La questione non è quindi come sarà il mix del pubblico con il privato, ma quale è l'oggetto di questo mix. O meglio qual è lo scopo di tutto ciò. E lo scopo non può essere la crescita dell'economia e basta. Non è vero che il benessere è legato all'aumento del prodotto totale mondiale".
Lo scopo dell'economia è la felicità?
"Certo".
Intanto crescono le diseguaglianze. "E sono destinate ad aumentare ancora: sicuramente all'interno dei singoli Stati, probabilmente tra alcuni Paesi e altri. Noi abbiamo un obbligo morale nel cercare di costruire una società con più uguaglianza. Un Paese dove c'è più equità è probabilmente un Paese migliore, ma quale sia il grado di uguaglianza che una nazione può reggere non è affatto chiaro".
Cosa rimane di Marx? Lei, in tutta questa conversazione non ha mai parlato né di socialismo né di comunismo...
"Il fatto è che neanche Marx ha parlato molto né di socialismo né di comunismo, ma neanche di capitalismo. Scriveva della società borghese. Rimane la visione, la sua analisi della società. Resta la comprensione del fatto che il capitalismo opera generando le crisi. E poi, Marx ha fatto alcune previsioni giuste a medio termine. La principale: che i lavoratori devono organizzarsi in quanto partito di classe".
In Occidente si parla sempre meno di politica e sempre più di tecnica. Perché?
"Perché la sinistra non ha più niente da dire, non ha un programma da proporre. Quel che ne rimane rappresenta gli interessi della classe media istruita, e non sono certo centrali nella società".
[...]«Intanto in Occidente abbiamo i banchieri centrali che ci dicono cosa fare. Si parla di conti, numeri, ma non dei desideri degli umani e del loro futuro. Si può andare avanti così?
"A lungo termine, no. Ma sono convinto che il vero problema sia un altro: l'asimmetria della globalizzazione. Certe cose sono globalizzate, altre super-globalizzate, altre non sono state globalizzate. E una delle cose che non lo sono state è la politica. Le istituzioni che decidono di politica sono gli Stati territoriali. Rimane quindi aperta la questione come trattare problemi globali, senza uno Stato globale, senza un'unità globale. E questo riguarda non solo l'economia, ma anche la più grande sfida dell'esistente, quella ambientale. Uno degli aspetti della nostra vita che Marx non ha visto è l'esaurimento delle risorse naturali. E non intendo l'oro o il petrolio. Prendiamo l'acqua. Se i cinesi dovessero usare la metà dell'acqua pro capite utilizzata dagli americani non ce ne sarebbe abbastanza nel mondo. Sono sfide dove le soluzioni locali sono inutili, se non a livello simbolico".
C'è un rimedio?
"Sì, a patto che si capisca che l'economia non è fine a se stessa, ma riguarda gli esseri umani. Lo si vede osservando l'andamento della crisi in atto. Secondo le antiquate credenze della sinistra la crisi dovrebbe produrre rivoluzioni. Che non si vedono (se non qualche protesta degli indignati). E siccome non sappiamo neanche quali sono i problemi che stanno per sorgere, non possiamo nemmeno sapere quali saranno le soluzioni".
Può fare qualche previsione comunque?
"E' estremamente poco probabile che la Cina diventi una democrazia parlamentare. E' poco probabile che i militari perdano tutto il loro potere nella maggior parte degli Stati islamici".
Lei ha sostenuto la necessità di arrivare a una specie di economia mista, tra pubblico e privato.
"Guardi la storia. L'Urss ha tentato di eliminare il settore privato: ed è stata una sonora sconfitta. Dall'altro lato, il tentativo ultraliberista è pure miseramente fallito. La questione non è quindi come sarà il mix del pubblico con il privato, ma quale è l'oggetto di questo mix. O meglio qual è lo scopo di tutto ciò. E lo scopo non può essere la crescita dell'economia e basta. Non è vero che il benessere è legato all'aumento del prodotto totale mondiale".
Lo scopo dell'economia è la felicità?
"Certo".
Intanto crescono le diseguaglianze. "E sono destinate ad aumentare ancora: sicuramente all'interno dei singoli Stati, probabilmente tra alcuni Paesi e altri. Noi abbiamo un obbligo morale nel cercare di costruire una società con più uguaglianza. Un Paese dove c'è più equità è probabilmente un Paese migliore, ma quale sia il grado di uguaglianza che una nazione può reggere non è affatto chiaro".
Cosa rimane di Marx? Lei, in tutta questa conversazione non ha mai parlato né di socialismo né di comunismo...
"Il fatto è che neanche Marx ha parlato molto né di socialismo né di comunismo, ma neanche di capitalismo. Scriveva della società borghese. Rimane la visione, la sua analisi della società. Resta la comprensione del fatto che il capitalismo opera generando le crisi. E poi, Marx ha fatto alcune previsioni giuste a medio termine. La principale: che i lavoratori devono organizzarsi in quanto partito di classe".
In Occidente si parla sempre meno di politica e sempre più di tecnica. Perché?
"Perché la sinistra non ha più niente da dire, non ha un programma da proporre. Quel che ne rimane rappresenta gli interessi della classe media istruita, e non sono certo centrali nella società".
"Quel che ne rimane rappresenta gli interessi della classe media istruita..."
RispondiEliminaNemmeno più quella.
Oggi non esiste politico di sinistra che non si identifichi con gli interessi del capitale.
Meglio, paradossalmente, riescono a fare quelli di destra, che si mimetizzano più effiacemnete dietro ai propri privilegi personali.
Credo che il dramma oggi sia un'assenza di politici e un'esubero di aspiranti Amministratori Delegati.
Vogliono stare tutti in cima, ma solo per incassare laute buone uscite dopo aver debitamente garantito il fallimento dell'azienda che li ha pagati per ristrutturarla.
Mancano tutti l'obiettivo, per contratto.
Così, da una parte c'è la "società", cioè le persone, dall'altra gli A.D.
In mezzo, gli squali...
"...l'asimmetria della globalizzazione. Certe cose sono globalizzate, altre super-globalizzate, altre non sono state globalizzate. E una delle cose che non lo sono state è la politica. Le istituzioni che decidono di politica sono gli Stati territoriali. Rimane quindi aperta la questione come trattare problemi globali, senza uno Stato globale, senza un'unità globale."
RispondiEliminaIndubbio tutto il resto ma 'sta cosa del governo globale è veramente una topica mostruosa che denuncia l'impossibilità a governare, nei singoli stati, della sinistra (e quindi di non poter decidere nessuna politica globale condivisa). Non esiste un'idea univoca: convivono i no-global ed idee di gestione globale (cioè un anima di destra territorial-autonomista e una sorta di liberal-socialismo). Evidente lo spessore del personaggio, dcello storico dalle intuizioni geniali, ed esemplari, delle analisi fulgide ma la proposta politica globalizzatrice è uno dei sintomi della patologia delle sinistre mondiali.
Resta il fatto più importante che ad ogni sua risposta si apre un dibattito, una riflessione, un'analisi...capacità rara ed oramai scomparsa visto il linguaggio secco, per nulla diagnostico e con stile spot che tutti utilizzano. RIP
Mandi.
stefano.
Hai perfettamente ragione, ma in realtà non "leggo" quella di Hobsbawm come una proposta ma piuttosto come una constatazione. Personalmente, come sai, sono per la "globalizzazione della decrescita", se fosse possibile o, più realisticamente e in proporzioni ridotte, per quel che riguarda il nostro "orticello", a una Confederazione Europea sul modello svizzero, e non una Federazione che ricalchi gli USA, a cominciare dai suo "valori" e dall'American Way of Life cui rinuncio molto volentieri. E naturalmente che sia voluta e legittimata dai cittadini europei, e non dagli attuali governi statali che, a loro volta, rispondono al FMI, alla Banca Mondiale, alla BCE e alla finanza internazionale.
RispondiEliminaFratello, qui siamo d'accordo...l'idea spinelliana, se non vado errando (come si diceva una volta), mi pare fosse quella. Per scherzare, l'unica globalizzazione che potrei accettare è quella della Nutella: deve essere uguale ovunque! Cazzo la Nutella è la Nutella. Mandulis. Se vieni a Udin call for a pint!
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