"Cogan - Killin' Them Softly" di Andrew Dominik. Con Brad Pitt, Ray Liotta, Scoot McNairy, Ben Mendelsohn, James Gandolfini, Richard Jenkins, Vincent Curatola. USA 2012 ★★★½
Quasi in contemporanea con "Killer Joe", compare sugli schermi "Killer Jack", nei panni di un sempre convincente Brad Pitt, contornato da un cast di caratteristi di livello superiore, alcuni ben noti nei film di mafia. Aleggiano anche qui letture e suggestioni tarantiniane, e l'ambientazione spostata anche qui nel Sud degli Stati Uniti, il Texas nel film di Friedkin e la Louisiana in questo lavoro del neozelandese Dominik. Siamo alla fine dell'era Bush, in piena crisi finanziaria, e le ultime battute della campagna elettorale tra Obama e McBain fanno da sfondo alla vicenda di due malviventi di mezza tacca che vengono convinti a rapinare una bisca clandestina della mafia, sicuri che la colpa verrà addossata al gestore, per via di una sua vecchia pecca. La mafia naturalmente vuol vederci chiaro e recuperare i soldi: l'intero del resto sistema è in crisi, quello "legale" come quelli illegale, che del resto funzionano alla stessa identica maniera e con le stessa logica (essenzialmente criminale anche nel caso della Grande Finanza). Così, tramite un avvocato che tiene i contatti, uno splendido Richard Jenkins, ingaggia Jackie Cogan, uno che "risolve i problemi", come il celebre Wolf, ma lo fa rimuovendo i "problemi" con dolcezza, evitando il più possibile il coinvolgimento personale, e così ingaggia, per una delle vittime segnate, che conosce personalmente e le cui implorazioni potrebbero turbarlo, un altro killer suo amico, interpretato da un James Gandolfini anche qui, come nei "Soprano", nei panni di un criminale in crisi esistenziale, che affoga nell'alcol e nella frequentazione di prostitute. Ci sono un paio di intoppi e alla fine Cogan deve provvedere di persona a tutte e tre le eliminazioni previste, e finisce con una grottesca trattativa sul prezzo concordato. Il film è chiaramente una metafora, come confermano i discorsi, dei due candidati presidenziali, incentrati sulla necessità di salvaguardare il sistema finanziario andato per aria grazie ai "sacrifici di tutti", in nome della"Unità della Nazione", degli "Ideali Americani", di una fantasmatica "Comunità Nazionale". Tutte balle che sentiamo in continuazione con poche varianti anche nella vecchia Europa: lo sa bene Cogan, che afferma perentorio, nell'ultima scena, che negli USA non esiste alcuna comunità e che ognuno è solo, e che l'unico significato dell'America, la sua ragion d'essere, sono gli affari. E quindi anche la mafia, tramite il suo avvocato, deve stare ai patti. E pagare. Solo per questo finale il film merita ip prezzo del biglietto, ma anche per il resto non è niente male.
Quasi in contemporanea con "Killer Joe", compare sugli schermi "Killer Jack", nei panni di un sempre convincente Brad Pitt, contornato da un cast di caratteristi di livello superiore, alcuni ben noti nei film di mafia. Aleggiano anche qui letture e suggestioni tarantiniane, e l'ambientazione spostata anche qui nel Sud degli Stati Uniti, il Texas nel film di Friedkin e la Louisiana in questo lavoro del neozelandese Dominik. Siamo alla fine dell'era Bush, in piena crisi finanziaria, e le ultime battute della campagna elettorale tra Obama e McBain fanno da sfondo alla vicenda di due malviventi di mezza tacca che vengono convinti a rapinare una bisca clandestina della mafia, sicuri che la colpa verrà addossata al gestore, per via di una sua vecchia pecca. La mafia naturalmente vuol vederci chiaro e recuperare i soldi: l'intero del resto sistema è in crisi, quello "legale" come quelli illegale, che del resto funzionano alla stessa identica maniera e con le stessa logica (essenzialmente criminale anche nel caso della Grande Finanza). Così, tramite un avvocato che tiene i contatti, uno splendido Richard Jenkins, ingaggia Jackie Cogan, uno che "risolve i problemi", come il celebre Wolf, ma lo fa rimuovendo i "problemi" con dolcezza, evitando il più possibile il coinvolgimento personale, e così ingaggia, per una delle vittime segnate, che conosce personalmente e le cui implorazioni potrebbero turbarlo, un altro killer suo amico, interpretato da un James Gandolfini anche qui, come nei "Soprano", nei panni di un criminale in crisi esistenziale, che affoga nell'alcol e nella frequentazione di prostitute. Ci sono un paio di intoppi e alla fine Cogan deve provvedere di persona a tutte e tre le eliminazioni previste, e finisce con una grottesca trattativa sul prezzo concordato. Il film è chiaramente una metafora, come confermano i discorsi, dei due candidati presidenziali, incentrati sulla necessità di salvaguardare il sistema finanziario andato per aria grazie ai "sacrifici di tutti", in nome della"Unità della Nazione", degli "Ideali Americani", di una fantasmatica "Comunità Nazionale". Tutte balle che sentiamo in continuazione con poche varianti anche nella vecchia Europa: lo sa bene Cogan, che afferma perentorio, nell'ultima scena, che negli USA non esiste alcuna comunità e che ognuno è solo, e che l'unico significato dell'America, la sua ragion d'essere, sono gli affari. E quindi anche la mafia, tramite il suo avvocato, deve stare ai patti. E pagare. Solo per questo finale il film merita ip prezzo del biglietto, ma anche per il resto non è niente male.
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