mercoledì 30 maggio 2012

Tapeando por Valencia

Plaza de la Reina y catedral
VALENCIA - Tre giorni nella terza città spagnola (e seconda catalana) non consentonodi dare un giudizio su ciò che sta accadendo in questo paese, ma di cogliere alcune impressioni a volo d'uccello, sì. Innanzitutto la città: non ci tornavo da oltre un quarto di secolo: non mi era piaciuta allora, alquanto trasandata, spesso squallida, prova di vivacità, e non mi entusiasma adesso, anche se possiede un gradevole centro storico, che mi ricordavo sordido e cadente e che è stato recuperato con successo; una parte istituzionale ridondante con una forte impronta inizio Novecento; alcuni tratti art déco, una zona residenziale di pregio, l'Eixample, e un'ampia area verde, il Jardín del Turia, ricavata dal letto dell'omonimo fiume che nell'ottobre 1957 esondò alluvionando l'intera città e di cui è stato deviato il corso lontano dalla zona abitata. Il resto, però, ha l'aria di un immenso dormitorio (l'area urbana di Valencia supera i 2 milioni di abitanti) che acquista un minimo di vivacità verso il mare dove la presenza di ampie quanto asettiche spiagge cittadine, come Las Arenas e Malvarosa, fanno la gioia soprattutto delle frotte di turisti inglesi, olandesi e altri che si affacciano tra Mare del Nord e Baltico, a cui non sembra vero poter sfuggire alle pozze maleodoranti a cui sono abituati nei loro Paesi e sbarcare nel Mediterraneo grazie all'abbondanza di voli low cost sull'aeroporto locale. 
Valencia ha così scoperto una vocazione turistica che ha sì arricchito la città, ma reso la sua offerta in buona parte identica a quella delle altre mete turistiche "mordi-e-fuggi": il problema non sono tanto e solo i vari "Starfucks" e "MerDonalds", a cui comunque andrebbe impedito di installarsi invariabilmente negli angoli più suggestivi, deturpandoli per sempre, quanto nella tribù internazionale e sempre in crescita di decerebrati che li frequentano decretandone il successo a ogni latitudine: per capire i danni irreparabili causati dalla globalizzazione, basta osservare come si vestono, come si muovono, come parlano queste anime morte. Come se non bastasse il come si nutrono. 
Cuidad de las Artes y Ciencias
Rispetto a 25 anni fa, Valencia è più pulita, meno trasandata e precaria, con una buona viabilità: ampi viali e mezzi pubblici efficienti; inoltre possiede un gioiello come la Ciudad de las Artes y las Ciencias, opera del geniale e discusso architetto locale Santiago Calatrava (quello dell'omonimo, disastroso ponte veneziano) in cui ci si può perdere per intere giornate: a me è bastata la visita al Parque Oceanografico, il più grande d'Europa: strabiliante. La cosa più spettacolare di Valencia è però lo stadio Mestalla, che si scorge d'un tratto nel pieno centro della città, incassato tra palazzi d'abitazione di poco più alti di lui: e si parla di uno stadio con tre ordini di gradinate, con una capienza di 55 mila posti, una via di mezzo tra quello di Marassi a Genova e San Siro a Milano: una visione inquietante. Simbolo della locale compagine calcistica (a suo tempo allenata da Hector Cuper, che riuscì a perdere due finali di Champions League di fila nel 2000 e nel 2001, per poi guidare la Beneamata al disastro del 5 maggio 2002) è, non a caso, il pipistrello, e qualcosa di lugubre sembra sempre aleggiare sulla città, che pur essendo mediterranea e solare trasmette una certa cupezza. A cui contribuisce la crisi che sta scuotendo la Spagna. Una crisi bancaria, dovuta allo scoppio della bolla immobiliare, in tutto simile a quella avvenuta negli USA a partire dal 2008, bolla finanziata inopportunamente dalla BCE con prestiti a tassi irrisori per costruire immobili per un numero tre volte superiore, così è stato calcolato, alla domanda. 
Ora è implosa Bankia, la quarta banca del Paese, voluta dal PP per una fusione delle varie "Cajas" regionali da esso controllate in prevalenza. E a risolvere la crisi è stato chiamato Rajoy, guarda caso il capo del Partido Popular che l'ha sostenuta. Non che i governi a guida PSOE siano esenti da colpe: Bankia è stata istituita col loro accordo, inoltre il settore immobiliare è comunque un efficacissimo volano di quello sviluppo economico col turbo per cui vale il detto The Harder They Come, The Harder They Fall. La crisi c'è, e con un minimo di attenzione la si nota: frotte di ragazzi che volantinano a favore di negozi e compagnie o che fermano i passanti per eseguire indagini di mercato; bar e ristoranti che senza i turisti sarebbero quasi deserti; così come cinema e teatri, quando non sono chiusi; dopo le 10 di sera le strade si svuotano, e fuori dal centro non è che brulichino di vita nemmeno prima. E siamo in Spagna, nel Paese della movida, dove quando era in auge a quell'ora i ristoranti cominciavano appena a riempirsi, prima di dare inizio a una noche brava che sarebbe durata fino all'alba successiva. Scarso anche il traffico. Ma prezzi all'altezza: quasi a livelli italiani (si risparmia qualcosa sull'alloggio). Gli spagnoli sono orgogliosi e sempre dignitosi e reggono bene. Però di gente allegra e vogliosa di fare fiesta non se ne vede proprio.

4 commenti:

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