"Tutti i nostri desideri" (Toutes nos envies) di Philippe Lioret. Con Vincent Lindon, Marie Gillain, Amandine Dewasmes, Pascale Arbillot, Isabelle Renauld. Francia 2011 ★★
Ci risiamo col più tipico dei film francesi ideologici, dai tratti progressisti, politicamente corretti e così pieni di buone intenzioni da esagerare: tanti sono gli ingredienti che alla fine ne risulta un pastrocchio, seppure ben girato e interpretato, soprattutto da Vincent Lindon, già protagonista di "Welcome", pellicola di cui fu regista lo stesso Lioret con esiti decisamente più felici. Qui lo spunto sarebbe relativamente semplice: Claire, una giovane magistrata alle prese con un caso di circonvenzione di una giovane madre da parte di un istituto di credito che concede "prestiti facili" a tassi che solo in seguito si scoprono d'usura, scopre di essere affetta da un tumore al cervello inguaribile. Decide però di non accettare terapie e al contempo di non dire nulla al marito, non ritenendolo in grado di affrontare la situazione. Il film è la cronistoria dei suoi ultimi mesi di vita: in sostanza la storia del rapporto che si innesca con un altro giudice, Stéphane, più anziano ed esperto, che porterà avanti la causa fino a livello di Corte Europea, che però è anche l'unico che viene a sapere, per caso, della sua malattia e diventa "complice" delle scelte; al contempo, quella della progressiva inclusione di Céline, la giovane madre perseguitata dagli istituti di credito (i cui figli vanno guarda a caso a scuola con quelli di Claire) nella sua famiglia, un vero e proprio passaggio di consegne al marito babbeo. Da un lato è un raffinato legal-movie, su una questione, le clausole microscopiche nei contratti, la circonvenzione di persone in stato di necessità, la pubblicità ingannevole; dall'altro uno straziante mélo sociologico, dove ci sta anche la scelta di Claire di diventare giudice perché lei stessa si è trovata con una madre, naturalmente abbandonata dal marito cattivo, nella stessa situazione di Céline, motivo per cui affronta la propria professione di magistrato come una missione umanitaria; ci sta naturalmente il rapporto controverso con la madre e con il padre assente; ci sta il rapporto a suo modo esclusivo, anche se asessuato, con Stéphane, ci sta anche il rapporto, di fatto inesistente, col marito aspirante cuoco. Di tutto e di più, compreso lo happy end dell'accoglimento di una fondamentale questione di diritto posta alla Corte Europea e l'inevitabile avverarsi della continuazione della famiglia con Céline al posto di Claire. Alla fine, l'aspetto più convincente del film è il rispetto da parte di Stéphane delle scelte di Claire riguardo alla sua malattia, anche se non condivide quella di non parlarne al marito, e la sua fattiva e totale solidarietà e compilcità nell'assecondarla ed esserle vicino nell'unico modo possibile. Troppa carne al fuoco ne fanno un film velleitario e alla fine inconsistente. Peccato.
Ci risiamo col più tipico dei film francesi ideologici, dai tratti progressisti, politicamente corretti e così pieni di buone intenzioni da esagerare: tanti sono gli ingredienti che alla fine ne risulta un pastrocchio, seppure ben girato e interpretato, soprattutto da Vincent Lindon, già protagonista di "Welcome", pellicola di cui fu regista lo stesso Lioret con esiti decisamente più felici. Qui lo spunto sarebbe relativamente semplice: Claire, una giovane magistrata alle prese con un caso di circonvenzione di una giovane madre da parte di un istituto di credito che concede "prestiti facili" a tassi che solo in seguito si scoprono d'usura, scopre di essere affetta da un tumore al cervello inguaribile. Decide però di non accettare terapie e al contempo di non dire nulla al marito, non ritenendolo in grado di affrontare la situazione. Il film è la cronistoria dei suoi ultimi mesi di vita: in sostanza la storia del rapporto che si innesca con un altro giudice, Stéphane, più anziano ed esperto, che porterà avanti la causa fino a livello di Corte Europea, che però è anche l'unico che viene a sapere, per caso, della sua malattia e diventa "complice" delle scelte; al contempo, quella della progressiva inclusione di Céline, la giovane madre perseguitata dagli istituti di credito (i cui figli vanno guarda a caso a scuola con quelli di Claire) nella sua famiglia, un vero e proprio passaggio di consegne al marito babbeo. Da un lato è un raffinato legal-movie, su una questione, le clausole microscopiche nei contratti, la circonvenzione di persone in stato di necessità, la pubblicità ingannevole; dall'altro uno straziante mélo sociologico, dove ci sta anche la scelta di Claire di diventare giudice perché lei stessa si è trovata con una madre, naturalmente abbandonata dal marito cattivo, nella stessa situazione di Céline, motivo per cui affronta la propria professione di magistrato come una missione umanitaria; ci sta naturalmente il rapporto controverso con la madre e con il padre assente; ci sta il rapporto a suo modo esclusivo, anche se asessuato, con Stéphane, ci sta anche il rapporto, di fatto inesistente, col marito aspirante cuoco. Di tutto e di più, compreso lo happy end dell'accoglimento di una fondamentale questione di diritto posta alla Corte Europea e l'inevitabile avverarsi della continuazione della famiglia con Céline al posto di Claire. Alla fine, l'aspetto più convincente del film è il rispetto da parte di Stéphane delle scelte di Claire riguardo alla sua malattia, anche se non condivide quella di non parlarne al marito, e la sua fattiva e totale solidarietà e compilcità nell'assecondarla ed esserle vicino nell'unico modo possibile. Troppa carne al fuoco ne fanno un film velleitario e alla fine inconsistente. Peccato.
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