"Gerusalemme perduta" tratto dal libro di Paolo Rumiz e Monika Bulaj (Frassinelli editore, 2005) su progetto di Aleksandar Sasha Karlic. Regia di Graziano Piazza. Con Elia Schilton, Barbara Zanoni, Aleksandar Sasha Karlic e Theatrum Instrumentorum & Les Baklava Mystiques (Vangelis Merkouris, Igor Niego, Krasimir Kalinkov, Marco Ferrari. Coreografia, danza e Canto Barbara Zanoni, luci Andrea Mordenti, suono Mustafa Cengic. Produzione Ravenna Festival. Al Piccolo Teatro Studio di Milano.
Una fusione di parole, musica e danza (bravissima Barbara Zanoni, dotata anche di una bellissima voce) in un'atmosfera satura di incenso e con un suggestivo gioco di luci in uno spazio ideale come quello del Teatro Studio: in forma di un'epistola scritta a Gerusalemme al termine di un viaggio compiuto insieme alla collega e fotografa polacca Monika Bulaj tra Medio Oriente e Balcani, Paolo Rumiz ne racconta a un amico come di "un itinerario alla ricerca delle briciole di dio", là dove le tre religioni monoteiste sono nate e ancora oggi si incontrano e talvolta confondono a dispetto delle rivalità e dei sospetti reciproci: convivono anche se spesso non pacificamente. Un viaggio tanto più necessario in quanto il mondo occidentale ha perso le proprie radici spirituali, e quindi a sé stesso, e con questo il desiderio di vivere e di comprendere. Viaggio verso le proprie origini che assume necessariamente la forma di un pellegrinaggio, perché solo ascoltando la gente, e oltre alle parole la sua musica, che per definizione è un elemento aggregante, si può capirla e quindi cercare di convivere col prossimo. Una salutare celebrazione della tolleranza, che è sempre figlia della conoscenza. Peccato soltanto che a declamare il testo non fosse, come in altre occasioni, lo stesso autore, perché la parte più debole dello spettacolo è consistita proprio nella sua lettura.
Una fusione di parole, musica e danza (bravissima Barbara Zanoni, dotata anche di una bellissima voce) in un'atmosfera satura di incenso e con un suggestivo gioco di luci in uno spazio ideale come quello del Teatro Studio: in forma di un'epistola scritta a Gerusalemme al termine di un viaggio compiuto insieme alla collega e fotografa polacca Monika Bulaj tra Medio Oriente e Balcani, Paolo Rumiz ne racconta a un amico come di "un itinerario alla ricerca delle briciole di dio", là dove le tre religioni monoteiste sono nate e ancora oggi si incontrano e talvolta confondono a dispetto delle rivalità e dei sospetti reciproci: convivono anche se spesso non pacificamente. Un viaggio tanto più necessario in quanto il mondo occidentale ha perso le proprie radici spirituali, e quindi a sé stesso, e con questo il desiderio di vivere e di comprendere. Viaggio verso le proprie origini che assume necessariamente la forma di un pellegrinaggio, perché solo ascoltando la gente, e oltre alle parole la sua musica, che per definizione è un elemento aggregante, si può capirla e quindi cercare di convivere col prossimo. Una salutare celebrazione della tolleranza, che è sempre figlia della conoscenza. Peccato soltanto che a declamare il testo non fosse, come in altre occasioni, lo stesso autore, perché la parte più debole dello spettacolo è consistita proprio nella sua lettura.
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