lunedì 5 gennaio 2009

Una domenica culturale giavanese


Stupas And Volcano by gomer333YOGYAKARTA -E va bene così: ho scelto la giornata sbagliata per andare a visitare i siti archeologici più importanti e famosi dell'Indonesia, ma anche quella giusta. Sbagliata perché domenica: benché sia un Paese abitato al 90% da musulmani, per quanto tiepidi, è in vigore il consueto calendario occidentale, almeno per tutte le attività che non hanno a che fare col commercio. Scuole, banche e uffici pubblici sono chiusi, per cui una massa di gitanti, composta prevalentemente da famiglie, si precipita a Borobodur e Prambanan, i cui templi sono peraltro immersi in grandi parchi. L'occasione giusta per stare all'aperto, fare quattro passi, godersi un po' di fresco sotto alle fronde degli alberi. E anche un po' di cagnara e un sacco di foto. Una scelta giusta perché in tutta la giornata non è caduta nemmeno una goccia d'acqua, e per giunta io avevo osato sfidare il monsone decidendo di muovermi in mototaxi, la soluzione più economica per spostarsi autonomamente su distanze a medio raggio da Yogya, nella fattispecie 42 km a Borobodur e 17 a Prambanan. Il primo (foto in alto a destra, con sullo sfondo il Merapi) è un tempio buddhista fatto costruire dalla dinastia Sailendra tra il 750 e l'850 d.C., concepito come la rappresentazione del cosmo da parte buddhista, trasposta in pietra, partendo dalla base, 118 metri per 118, con  sei terrazze quadrate, coronate da altre tre circolari e con quattro ripide scalinate che salgono verso la cima (il Nirvana). In sostanza uno stupa gigantesco, che riveste una collina “come la glassa di cioccolato ricopre una Sacher” (Scaini, nda) e costituito da 2 milioni di blocchi di pietre. Visto dall'alto, si dice che la struttura corrisponda a Entrata di Prambananquella di un mandala tantrico a tre dimensioni: un percorso a spirale di ben 5 chilometri tra pareti scolpite a bassorilievo in una trasposizione delle dottrine buddhiste, rappresentazione della vita quotidiana e del percorso sulla via della perfezione; gallerie ricoperte di pannelli con innumerevoli immagini del Buddha che le sovrastano, oltre  ai 72 Buddha seduti e posti in nicchie all'interno degli stupa, e visibili soltanto in parte. Qualcosa che ricorda l'Angkor Wat, in Cambogia: ma proprio perché conosco quest'ultimo, forse l'artefatto più portentoso che mi sia mai capitato di vedere, sono rimasto un po' deluso, anche se l'atmosfera magica di Angkor, e la struggente bellezza della Cambogia e la infinita dolcezza del suo popolo profondamente buddhista sono incomparabili. In seguito al declino del buddhismo il tempio venne abbandonato, ma riportato alla luce nel 1815 grazie all'iniziativa del benemerito  governatore Stamford Raffles (sempre lui, il cui nome già ricorre in queste pagine: alla cui memoria va un brindisi, col prossimo Singapore Sling), in seguito numerosi interventi di recupero e restauro, da parte olandese prima e indonesiana poi, l'ultimo in occasione di un attentato nel gennaio del 1985 contro l'allora presidente Suharto: alcune bombe danneggiarono seriamente parecchi piccoli stupa sulle terrazze superiori. A qualche chilometro di distanza il tempio di Mendut, in cui si trova la più grande statua presente in un lugo di culto a Giava, ancora situata nel luogo originario:Ganesh, Prambaran un Buddha alto tre metri e seduto in postura inconsueta, coi piedi appoggiati per terra anziché nella consueta posizione del loto. A Prambaran (più sopra, a sinistra; in fianco a sinistra un simpatico Ganesh beneaugurante) invece si trova il più grande complesso di templi (candi in lingua locale) hindu di tutta Giava, sparsi nel raggio di cinque chilometri intorno al villaggio omonimo. Costruiti circa cinquant’anni dopo quelli di Borobodur su iniziativa di un re della dinastia di Mataram, che si era fusa con quella dei Sailendra, il che spiega la presenza di elementi buddhisti anche qui. A differenza del tempio di Borobodur, quelli di Prambaran si sviluppano in verticale anziche’ in orizzontale. Maestoso quello dedicato a Shiva Mahadeva, la cui guglia centrale raggiunge i 47 metri, d'altezza, completamente ricoperta da sculture che raccontano storie tratte dal Ramayana e che sembrano ricami, di una precisione e un dettaglio stupefacenti. Purtroppo in seguito a uno dei più recenti terremoti il tempio è in fase di restauro e le sale interne inaccessibili, e così per i due che lo fiancheggiano, dedicati a Brahma e Vishnu, e un altro ancora a Nandi, il toro fedele compagno di Shiva, e in questo caso la delusione deriva dalla visita forzatamente parziale e incompleta, giusto un assaggio che non giustifica la grassazione di un biglietto d'ingresso sparato a 11 dollari USA, che sommati ai 12 per l'entrata a Borobodur fanno l'equivalente del salario medio settimanale di un lavoratore indonesiano. E per fortuna che entranbi i monumanti dal 1991 fanno parte della lista di quelli appartenenti al Patrimonio dell’Umanità tutelato dall’UNESCO. Mi auguro soltanto che sia una gentile attenzione riservata ai visitatori stranieri, e non sia estesa alla popolazione locale: che se è vistors friendly in maniera encomiabile, amichevole e generosa, altrettanto non si può dire delle autorità e strutture pubbliche preposte al turismo: a cominciare da indicazioni bilingui pressoché inesistenti, meno che mai nelle stazioni dei treni e nei terminal dei bus, al personale che compensa con la buona volontà e un'infinita disponibilità la carenza di rudimenti di inglese e di informazioni da fornire. Un vero peccato.

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