mercoledì 5 marzo 2025

Becoming Led Zeppelin

"Becoming Led Zeppelin" di Bernard MacMahon. Con Jimmy Page, Robert Plant, John Paul Jones e John "Bonzo" Bonham. GB 2025 ★★★★★

Imperdibile per chi ha vissuto la gloriosa era dei primi Settanta (con i suoi prodromi), Becoming Led Zeppelin è qualcosa di totalmente diverso da un documentario con tanto di interviste a sedicenti esperti, colleghi, critici, manager, all'occorrenza groupies, di stelle del rock dell'epoca, e non è nemmeno un film-concerto: Bernard MacMahon l'ha concepito esattamente come gli Zeppelin, a cominciare dalla loro "mente" Jimmy Page, hanno concepito sé stessi, fondendo nel gruppo esperienze e influssi totalmente diversi e presentando il "prodotto finito", senza farsi condizionare e manipolare da discografici, intermediari convenienze. Parlano solo i quattro componenti della band, compreso John "Bonzo" Bonham, il loro poderoso batterista, in una delle rarissime interviste concesse in vita (deceduto nel 1982, il gruppo, solidissimo e solidale e che si concepiva come un intero, si era immediatamente sciolto appena dopo la sua scomparsa. Per dire, i Rolling Stones erano perfettamente concepibili, e infatti sono andati avanti, perfino migliorando, dopo la defezione di Brian Jones, Mick Taylor, Bill Wyman: gli Zeppelin no, senza uno dei loro membri non avrebbero avuto senso e a saperlo erano loro per primi) e l'argomento sono la musica, comprese questioni tecniche di non poco conto, che spiegano la straordinaria alchimia che si è creata tra quattro artisti di formazione e influenze diverse, ma tutti musicisti che si erano fatti le ossa come turnisti (John Paul Jones soprattuto come arrangiatore) già da giovanissimi nella Londra degli anni Sessanta (Page fece l'assolo nel tema di 007 Goldfinger cantato da Shirley Bassey ad appena 17 anni...) oppure erano già conosciuti nel circuito come Bonzo e Plant, nati e cresciuti entrambi nelle Midlands. Il film racconta la formazione di questo primo, straordinario  "Supergruppo" (che non era nato come tale, a differenza di Cream, Toto e altri) e la sua esplosione, nell'arco di un solo anno, con un percorso inverso rispetto agli altri gruppi britannici di quegli anni. Mentre Beatles, Stones e decine di altre band ebbero successo dapprima in Gran Bretagna, nutrendosi di musica americana, gli Zeppelin incisero il primo disco, nell'arco di un mese, negli USA, con la Atlantic, gloriosa etichetta newyorkese, presentando il lavoro finito (una "fissa", come accennavo sopra, di Jimmy Page, che lo aveva prodotto da solo, grazie alla sua già immensa esperienza da studio), seguito da un tour, organizzato dal lungimirante manager americano, da Ovest a Est: tra il  concerto al Fillmore East di San Francisco del 9 gennaio 1969, peraltro data di nascita di Page (classe 1944, per inciso), e quello del 9 gennaio del 1970 alla Royal Albert Hall di Londra, ritorno a casa dei "figliol prodigi" e relativa consacrazione, corrono solo 12 mesi e un altro album, Led Zeppelin II, il più dirompente, quello di Whole Lotta Love, un pezzo definitivo, che ha segnato la storia della musica. Giustamente Page e soci non vogliono sentir parlare di generi: il loro mix, che dipendeva dalla sensibilità e storia di ognuno dei componenti, era unico, e gli stili e preferenze dei singoli hanno sempre trovato spazio sia nei loro lavori in studio sia nei loro concerti, inarrivabili come potenza e complessità ma che riservavano sempre largo spazio per la creatività di ognuno. Un piacere sentirli parlare, con la grande modestia e riservatezza che hanno sempre avuto (non si sono mai autopromossi, hanno sempre impedito che qualcun altro mettesse le mani sia sui loro lavori sia che manipolasse la loro vita privata), che mostra da un lato professionalità e rispetto per sé stessi ma dall'altro sincerità e autenticità, di cui hanno sempre dato prova. Il pubblico, già 50 anni fa, lo percepiva fisicamente. Io compreso. Ero al Vigorelli di Milano, 16 anni, appena rimandato in greco e latino al ginnasio, il 5 luglio 1971, unica loro esibizione italiana: 15' di concerto, interrotto per una battaglia campale tra "autoriduttori" (il biglietto era a 1500 lire, l'equivalente, inflazione compresa, di non più di 10 € attuali) e polizia, che lanciavano irresponsabilmente lacrimogeni da un lato e bottiglie incendiarie dall'altro (in un velodromo costruito in legno...): impianto di amplificazione staccato, la voce di Robert Plant, a 50 metri di distanza, in mezzo ai botti e alle sirene, si udiva ancora. Energia pura. Questo erano i Led Zeppelin. E la loro musica stratificata e raffinata molto oltre le apparenze e le solite classificazioni di comodo e luogocomuniste, tipo i "fondatori dello Heavy Metal" o "emblemi dello Hard Rock" da parte di chi non ha mai preso in mano uno strumento e che al posto dell'orecchio ha sì e no un imbuto. In moplen...

domenica 2 marzo 2025

Fiume o morte!

"Fiume o morte!" di Igor Bezinović. Con la partecipazione della cittadinanza di Rijeka/Fiume tra cui Izet Medošević,Ćenan Beljulji, Albano Vučetić, Tihomir Buterin, Andrea Marsanich, Massimo Ronzani, Milovan Večerina Cico e altri. Croazia, Italia, Slovenia 2025 ★★★★1/2

Presentato in anteprima esattamente un mese fa al Film Festival di Rotterdam, dove ha ottenuto il Premio Tiger, Fiume o morte!, che rievoca la cosiddetta Impresa di Gabriele D'Annunzio che durò 16 mesi, dal settembre 1919 al dicembre successivo, e distribuito da Wanted, è uscito con delle proiezioni di prova a partire dal 17 febbraio in alcune sale del Friuli Venezia Giulia, una per provincia: il positivo riscontro di pubblico, in una regione particolarmente sensibile al tema, e dove era lecito attendersi reazioni negative, ha fortunatamente indotto alla distribuzione a livello nazionale, che avverrà a breve. Un bene, perché si tratta di una ricostruzione da un lato estremamente accurata (basata su meticolose ricerche d'archivio, testimonianze, materiale fotografico e filmati dell'epoca) e dall'altro riproposte in maniera molto originale, coinvolgendo la cittadinanza e sovrapponendo l'azione dei volontari attuali (persone comuni reclutate nei mercati o lungo il Corso cittadino) che posano negli stessi luoghi delle foto di allora o mimano e declamano azioni e discorsi significativi dell'occupazione durata 16 mesi della città. Mi incuriosiva il fatto che il film è proposto in lingua originale: il realtà il croato, sottotitolato in italiano, è usato solo nella prima parte del film (o docufilm, come lo si è voluto definire: secondo me è un film a tutto tondo, almeno quanto lo sono quelli tanto celebrati di Wes Anderson, per quanto con un impianto teatrale. Io lo definirei situazionista, e per me un complimento), quando Bezinović, fiumano di Sušak, la parte meridionale della città, oltre il Fiumara (l'Eneo) già ai tempi popolata quasi esclusivamente da croati, intervistava i concittadini per strada chiedendo loro se sapessero chi fosse D'Annunzio e qualcosa dell'occupazione della città da parte dei suoi Arditi: tra i più giovani nessuno ne sapeva nulla, solo col crescere dell'età qualcuno ne aveva una idea più o meno precisa: "un fascista italiano", "un esaltato", "un occupatore", "un delirante". Tra loro, il regista ha reclutato dei volontari per interpretare gli "invasori" di allora, in particolare 11 calvi, per la parte di D'Annunzio, e durante le prove e le "azioni", i personaggi parlavano in fiumano, dialetto che anche buona parte degli slavi di Rijeka conoscono e parlano tuttora, spesso anche tra loro, come può testimoniare chiunque frequenti come me la zona così come tutta l'Istria e la Costiera Dalmata. L'effetto è da un lato straniante e dall'altro divertente: non c'è nulla di anti-italiano o di "panslavista": la vicenda fiumana, tra il cialtronesco e il demenziale, com'era inevitabile, gestita da un personaggio egolatra e farneticante come D'Annunzio, non a caso chiamato allora e perfino adessoVate in Italia, benché avesse anche ragioni e contenuti comprensibili (il trattamento riservato all'Italia nel primo Dopoguerra nonché la sorte dei reduci di guerra, una gioventù che faticava a reintegrarsi e nutriva pulsioni di rivalsa: il vitalismo ed estetismo dannunziano era fatto apposta per attirarli) è raccontata cronologicamente e con rigore storico, la sovrapposizioni dei manipoli giovani croati in divisa grigioverde italiana ed elmetto nelle strade di oggi, dei vari "D'Annunzi" a tenere discorsi, sono esilaranti. Esempio di antiretorica e pacifismo da manuale che inevitabilmente entra in collisione con l'indole parolaia e, attualmente, di nuovo bellicista e con la scarsa memoria storica del nostro Paese, dove al contempo ha ancora credibilità la favola dell'italiano brava gente e bonaccione. Intendiamoci: mediamente è così, per quanto riguarda la gente comune in Italia come in tutti i Paesi del mondo, altra cosa quando si parla di politici e rapporti di potere. Sarà retorica e luogo comune pure questo, ma io la vedo così. Andrebbe proiettato ogni 10 febbraio, nel Giorno del Ricordo (in un Paese che ne è del tutto privo) istituito nel 2004 per "celebrare" l'esodo degli istriani e dei fiumano-dalmati nel secondo Dopoguerra. Giusto per raccontarne i prodromi.