domenica 9 marzo 2025

Il seme del fico sacro

"Il seme del fico sacro" (Dāne-ye anjīr-e ma'ābed) di Mohammad Rasoulof. Con Soheila Golastani, Mssagh Zareh, Mahsa Rostami, Satareh Maleh, NIousha Akshi, Reza Akhlaghirad, Shiva Ordooie, Amineh  Mazrouie Arani e altri. Iran, Germania, Francia 2024 ★★★★+

Presentato al 77° Festival di Cannes l'anno scorso, Il seme del fico sacro era stato candidato all'Oscar come miglior film straniero dalla Germania, dove il regista Rasoulov si era nel frattempo rifugiato dopo una serie di condanne subite in Iran, mentre Soheila Golastani, la bravissima protagonista, risulta tuttora agli arresti domiciliari a Teheran, è sicuramente un film politico, ma sarebbe riduttivo definirlo semplicemente come un coraggioso esempio di cinema militante: parla anche di rapporti famigliari, tra i sessi e generazionali che hanno valore universale e delle gabbie mentali che si creano, rendendo arduo capire la vera natura e le motivazioni perfino dei parenti più vicini in relazioni basate sul silenzio e sulla finzione, al di là di una vita in sostanziale reclusione come quella che vivono i personaggi della vicenda. Proprio nel periodo delle ultime manifestazioni di piazza e di massa, con il loro strascico di repressione durissima specie nei confronti dei giovani, il capofamiglia, Imam, dopo anni di lavoro in tribunale è finalmente riuscito a ottenere la promozione a giudice istruttore, il che per la sua ambiziosa moglie (Golastani: superba), figlia di un personaggio controverso, significa anche una casa più grande, vantaggi, insomma una promozione sociale: quello che Imam tace, è che il suo incarico consiste di fatto nel controfirmare le richieste di condanna degli oppositori del regime, comprese quelle, numerose, a morte e fare, in sostanza, il passacarte della pubblica accusa. Per la sua sicurezza, gli viene consegnata una pistola col suo carico pallottole, che però a un certo punto sparisce, e il magistrato entra in paranoia, perché se non la ritrova le conseguenze per lui sarebbero gravissime. A completare il quadro famigliare, le due figlie Rezvan e Sana, studentesse, che simpatizzano per i manifestanti seguendo le proteste sui loro cellulari o, quando possono, anche dal vivo e, peggio ancora, convincono la madre a ospitare una loro amica che ha avuto il volto sfregiato durante un pestaggio da parte dei "Guardiani della Rivoluzione", cosa di cui Imam è tenuto all'oscuro. I segreti si accumulano, e la loro gestione diventa vieppiù complicata. Il racconto procede come un thriller, in uno stato di crescente tensione, e la vicenda, che assume toni sempre più drammatici, si trasferisce dall'appartamento di Teheran (il film è stato girato quasi totalmente in interni, con le attrici a capo scoperto, e gli esterni consistono in materiale documentaristico d'archivio) alla casa di famiglia di Imam in un villaggio rurale disabitato fuori dalla capitate immerso in un paesaggio brullo e desolato, dove si svolge la parte finale, il "chiarimento" definitivo ossia il redde rationem che, ovviamente, non sto a svelare e che mette a nudo tutte le dinamiche accennate sotto traccia precedentemente: i nodi vengono al pettine, con un bel pugno nello stomaco. Regista con le idee chiare, sceneggiatura solida, interpretazioni all'altezza, Golastani su tutti: del resto il cinema iraniano è da sempre garanzia di grande qualità e, pur trattando della drammatica situazione del Paese, e delle sue contraddizioni, è sempre in grado di parlare a tutti perché alcuni temi di fondo, a cominciare dai complicati rapporti tra le persone, sono universali. 

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