martedì 5 aprile 2022

Un altro mondo

"Un altro mondo" (Un autre monde) di Stéphane Brizé. Con Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain, Anthony Bajon, Marie Drucker, Guillaume Draux, Olivier Lemaire e altri. Francia 2021 ★★★

Terzo film di Stéphane Brizé dopo La legge del mercato e In guerra sul mondo del lavoro ai tempi della globalizzazione, con conseguente delocalizzazione, perché i capitali circolano tanto più velocemente quanto più facilmente è possibile investire in luoghi dove produrre costa meno, e le merci hanno modo di spostarsi fra le frontiere di Stati che ormai di nazionale hanno soltanto la struttura per ingabbiare i propri sudditi e tenerne fuori quelli da usare come riserva di forza lavoro o spauracchio, e per compiacere invece le multinazionali senza volto, generalmente d'oltreoceano, garantendo la vigenza della massimizzazione del profitto come unico vero dogma rimasto, in base appunto della legge del mercato, misura di tutte le cose e di ogni valore, il regista francese rimane uno dei rarissimi esempi di autore che sa fare cinema civile, e quindi politico, non limitandosi a denunciare lo stato delle cose ma mostrando quanto e come l'applicazione dei "sacri principi" abbia effetto sulla vita quotidiana delle persone su cui si abbattono inesorabilmente. Come se fossero inevitabili, basati su una logica che non si può per alcun motivo contrastare, proprio perché significherebbe mettere in discussione un intero sistema votato all'autodistruzione di sé stesso e, alla fine, di tutto ciò che si regge su di esso. Discorsi fatti e rifatti invano, ma che vederli tradotti sullo schermo, negli effetti che hanno sulla vita quotidiana di Philippe Lemesle, interpretato da Vincent Lindon, sodale di lunga data di Brizé, direttore di uno stabilimento di elettrodomestici nella Francia Occidentale che fa parte di una multinazionale che ha sede negli USA, e fa un altro effetto quello si un pugno nello stomaco che colpisce duro, perché potrebbe abbattersi anche su ognuno di noi. L'uomo si trova a un bivio della sua vita famigliare e professionale: la prima è andata a rotoli proprio per la sua dedizione alla seconda, cui si è dedicato anima e corpo proprio per salvare l'azienda e chi ci lavorava, a cui in precedenza aveva evitato massicci "tagli" in cambio di sacrifici in termini non solo salariali ma di standard di sicurezza e di maggiore produttività. Proprio per questo gli viene imposto dall'alto un ulteriore giro di vite, per evitare una delocalizzazione in realtà già decisa: l'uomo, già alle prese con la richiesta di divorzio da parte della moglie, che non ne può più della sua sostanziale assenza a causa dell'abnegazione al "dovere", e un figlio maniaco-ossessivo che ha bisogno di cure psichiatriche, si trova fra l'incudine e il martello, come si suol dire, alle prese con le aberranti quanto ferree logiche aziendali, messo alle strette di fronte al bivio fra salvare la sua carriera a scapito dei suo dipendenti oppure la propria dignità e credibilità. L'uomo saprà scegliere, la sua sarà sarà una vittoria in termini di rispetto per sé stesso e, forse, recupero di una dimensione personale e affettiva, ma segnerà comunque una sconfitta, non solo per la sua carriera, ma anche per coloro a cui ha tentato invano di salvare il posto do lavoro, perché ci sarà sempre un altro pronto a rimpiazzarlo a a eseguire gli indiscutibili ordini venuti dall'altra parte dell'Oceano, dove anche il Grande Capo asserisce di dover rispondere a qualcuno più in alto di lui: la divinità che risiede a Wall Street, ossia l'Azionista. 

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