domenica 10 aprile 2022

Pupo di zucchero / La festa dei morti


"Pupo di zucchero /La festa dei morti" di Emma Dante, liberamente ispirato a "Lo cunto de li cunti" di Giambattista Basile. Regia di Emma Dante, con Carmine Maringola, Nancy Trabona, Maria Sgro, Federica Greco, Sandro Maria Campagna, Giuseppe Lino, Stephanie Taillandier, Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout, Martina Caracappa, Valter Sarzi Sartori; scene e luci di Cristian Zucaro; costumi di Emma Dante; sculture di Cesare Inzerillo. Una produzione Sud Costa Occidentale in coproduzione con Teatro di Napoli/Teatro Nazionale, Scène National Châteauvallon-Liberté, ExtraPôle Provence-Alpes-Côtre d'Azur, Teatro Biondo di Palermo, La Criée Théâtre National de Marseille, Festival d'Avignon, Anthéea Antipolis Théâtre d'Antibes, Carnezzeria. Al PalaMostre di Udine l'8 e 9 aprile per Teatro Contatto

Pieno di aspettative per il nuovo spettacolo di Emma Dante, tratto come il precedente La scortecata da Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile, devo confessare di essere rimasto alquanto deluso da Pupo di Zucchero, non tanto e non solo perché pare una fusione i suoi ultimi due lavori, La scortecata, appunto, e Le sorelle Macaluso, ma soprattutto  perché rispetto a questi ultimi manca il mordente, l'intensità, anche se rimane la scarna essenzialità della scenografia e, per fortuna, il dono della sintesi della regista siciliana: siamo sui 50' di spettacolo e la "prova orologio", inesorabile a teatro ancora più che al cinema, aveva già dato il suo responso, perché allo spegnersi delle luci avevo già compulsato tre volte il quadrante, e se ci fosse stato un secondo atto, dopo l'intervallo avrei senz'altro abbandonato la sala. Non per incapacità degli interpreti, né per la storia in sé, che vede un vecchio rimasto solo, cui dà magistralmente voce in parlata napoletana Carmine Maringola, intento a preparare l'impasto per un pupo di zucchero, dolce tradizionale del 2 di novembre, giorno dei morti, che nelle persone dei suoi famigliari defunti, nell'attesa che lieviti vengono a fargli visita, nei ricordi e sulla scena, facendo tornare in vita una casa ormai irrimediabilmente vuota. Ed eccoli, i personaggi: il padre marinaio eternamente giovane, che pronuncia sempre le stesse parole: "Ti amerò per sempre"; la madre, francofona, recuperata a Marsiglia (già apparsa ne Le sorelle Macaluso); le tre sorelle scomparse prematuramente, che danzano tra lenzuola e veli movimentando la scena, una sorta di Vispe Terese che invece che tra l'erbetta corrono tout en rond sul palcoscenico; allo stesso scopo si inseguono e si allacciano in un rapporto sadomasochistico di odio e amore, sesso e violenza la coppia di zii, Antonio e Rita; poi c'è una sorta di tanguero andaluso, quindi un ossimoro, zio Pedro, con tanto di nacchere che poco hanno a che fare con il Rio de la Plata (così come il tango con l'Andalusia); infine Pascal, se ho ben capito un figlio adottato, nero, anche lui lì a fare colore. Bravi e inesausti nelle loro prove ginniche, niente da dire, ma imprigionati nel loro cliché, ossia così come li ha conservati il ricordo del protagonista e narratore, però sostanzialmente delle GIF animate. Abituati al teatro sanguigno, concreto, d'impatto della Dante, la leziosità di movenze e tutto quel danzare stavano decisamente cominciando a darmi sui nervi quando al posto degli attori in carne e ossa sono apparsi in scena i magnifici pupazzi creati da Cesare Inzerillo che riproducono i loro cadaveri e rimandano inevitabilmente a quelli imbalsamati che sono conservati nelle catacombe del convento dei Cappuccini a Palermo. Dicendo che la loro prestazione sia molto più incisiva e d'impatto di quella degli attori vivi non voglio essere offensivo nei confronti di questi ultimi, che ce l'hanno messa tutta, ma sono lo spettacolo e la messa in scena che, a mio parere, questa volta non hanno funzionato. Di diverso parere la stragrande maggioranza del pubblico in sala, che ha gradito, e richiamato con applausi e grida di "bravi" gli interpreti per una mezza dozzina di volte sul palcoscenico.

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